mercoledì 30 gennaio 2013

Pierangelo bertoli

http://www.youtube.com/watch?v=HEvXgw4f5AE



Non amo trincerarmi in un sorriso
detesto chi non vince e chi non perde
non credo nelle sacre istituzioni
di gente che ha il potere e se ne serve
giocattoli di carta in mano ai pazzi
puntati su milioni di persone
tu ascolti tutto e cerchi di capirmi
finendo poi per fare confusione
e dici che per te non sono in pace
certo che almeno in questo mi conosci
nell'attimo che brucia la ragione
io butto al fuoco tutte le mie croci
e semino i miei fatti personali
mischiati a tutto quello che è sociale
e vivo con la stessa indipendenza
gli scandali le guerre o la spirale.
Perché son fatto così
e non ci posso far niente
prendimi pure così
come mi accetta la gente
che mi sorride e che mi lascia parlare
però non mi sente.
Mi dici che una regola ci vuole
qualcuno deve pure aver ragione
sarà forse che sono diffidente
ma i capi non son altro che persone
e trattano le masse come capre
tosando e macellando l'eccedenza
sacrificando al fatto personale
le madri i figli i padri e la decenza.
Perché son fatto così
e non ci posso far niente
prendimi pure così
come mi accetta la gente
che mi sorride e che mi lascia parlare
però non mi sente.
Si macchiano dei crimini più bassi
per conservare il posto da sedere
le chiese il parlamento i sindacati
le banche e gli altri centri del potere
gli amici sai gli amici tante volte
mi dicono che sono un piantagrane
che parlo senza un poco di rispetto
che amo più gli oppressi o le puttane.
Ma sono fatto così
e non ci posso far niente
prendimi pure così
come mi accetta la gente
che mi sorride e che mi lascia parlare
però non mi sente,
che mi sorride e che mi lascia parlare
però non mi sente.

Com'è attuale!

martedì 29 gennaio 2013

Le Città Abitate dalle Ombre

Le Città Abitate dalle Ombre
di Concita DeGregorio
da LaRepubblica del 28.01.2013

Basterebbe allungare la mano passando in macchina accanto a via Veneto per sfiorare le camicie appese ad asciugare. Sarebbe sufficiente scendere le scale dei sottopassi vaticani, quelli costruiti per il Giubileo – sì, l’esultanza suprema – per trovare i gradini ingombri di cartoni, bottiglie, pentole ancora piene di cibo annerito sui fornelli da campo. Nel cuore di Roma, città eterna.
Sopra turisti in torpedone e miliardari in limousine, sotto – cinque metri più sotto, appena un po’ di lato – la città delle ombre. Abitata da un popolo che non ha niente, nemmeno un nome. Ci vogliono giorni per identificare i cadaveri carbonizzati. I due morti di ieri erano di origine somala, forse. C’è la testimonianza di due pugliesi, i loro vicini di cartone. «Secondo me gli hanno dato fuoco», dice uno di loro davanti alla telecamere che riprendono in primo piano il cumulo di carbone, pochi metri più indietro le auto che scendono veloci da villa Borghese.
A volte ai senza tetto qualcuno dà fuoco, in effetti. Un passatempo. E’ utile ascoltare la storia dell’uomo venuto dalla Puglia, un ragazzo italiano: era uno di noi, viveva nel mondo di sopra. La povertà lo ha preso alle spalle e l’ha rapito, lo ha portato sotto. Tra avere un lavoro e non avere più posto nel mondo è un attimo. Non importa da dove vieni, che lingua parli, di che colore hai la pelle: nella città delle ombre il destino è uguale per tutti. Puoi restare prigioniero di un cassonetto per abiti usati e morirci dentro, succede ogni settimana, a Padova e a Genova, a Roma, succede dove sei. Sui giornali diventi una breve di cronaca. Qualche volta c’è scritto che sei morto mentre rubavi i vestiti. Rubavi, nel cassonetto.
Nella Cloaca Massima, l’antica fogna all’altezza del Tevere, dormono a decine giovani che di giorno, non tutti ma molti, indossano il loro unico abito e vanno a fare i badanti, i camerieri al nero nei ristoranti e nelle case della città di sopra. Ogni tanto ne muore uno di freddo o di fuoco, ma non ha mai nome. I documenti sono un pericolo, si sa. Meglio così, direbbe quel vecchio politico: un mendicante di meno. Basta alzarsi il bavero e tirare diritto, che i ristoranti sono pieni e la miseria non c’è. Basta non guardare, accendere la tv e vedere cosa fa oggi Corona, basta dimenticarsi che i morti nel sottopasso sono uomini e chiamarli barboni, l’indomani radersi e uscire. Che ci vuole, è un attimo.

 
                                 Le Città Abitate dalle Ombre

di Concita DeGregorio
da LaRepubblica del 28.01.2013

Basterebbe allungare la mano passando in macchina accanto a via Veneto per sf...iorare le camicie appese ad asciugare. Sarebbe sufficiente scendere le scale dei sottopassi vaticani, quelli costruiti per il Giubileo – sì, l’esultanza suprema – per trovare i gradini ingombri di cartoni, bottiglie, pentole ancora piene di cibo annerito sui fornelli da campo. Nel cuore di Roma, città eterna.
Sopra turisti in torpedone e miliardari in limousine, sotto – cinque metri più sotto, appena un po’ di lato – la città delle ombre. Abitata da un popolo che non ha niente, nemmeno un nome. Ci vogliono giorni per identificare i cadaveri carbonizzati. I due morti di ieri erano di origine somala, forse. C’è la testimonianza di due pugliesi, i loro vicini di cartone. «Secondo me gli hanno dato fuoco», dice uno di loro davanti alla telecamere che riprendono in primo piano il cumulo di carbone, pochi metri più indietro le auto che scendono veloci da villa Borghese.
A volte ai senza tetto qualcuno dà fuoco, in effetti. Un passatempo. E’ utile ascoltare la storia dell’uomo venuto dalla Puglia, un ragazzo italiano: era uno di noi, viveva nel mondo di sopra. La povertà lo ha preso alle spalle e l’ha rapito, lo ha portato sotto. Tra avere un lavoro e non avere più posto nel mondo è un attimo. Non importa da dove vieni, che lingua parli, di che colore hai la pelle: nella città delle ombre il destino è uguale per tutti. Puoi restare prigioniero di un cassonetto per abiti usati e morirci dentro, succede ogni settimana, a Padova e a Genova, a Roma, succede dove sei. Sui giornali diventi una breve di cronaca. Qualche volta c’è scritto che sei morto mentre rubavi i vestiti. Rubavi, nel cassonetto.
Nella Cloaca Massima, l’antica fogna all’altezza del Tevere, dormono a decine giovani che di giorno, non tutti ma molti, indossano il loro unico abito e vanno a fare i badanti, i camerieri al nero nei ristoranti e nelle case della città di sopra. Ogni tanto ne muore uno di freddo o di fuoco, ma non ha mai nome. I documenti sono un pericolo, si sa. Meglio così, direbbe quel vecchio politico: un mendicante di meno. Basta alzarsi il bavero e tirare diritto, che i ristoranti sono pieni e la miseria non c’è. Basta non guardare, accendere la tv e vedere cosa fa oggi Corona, basta dimenticarsi che i morti nel sottopasso sono uomini e chiamarli barboni, l’indomani radersi e uscire. Che ci vuole, è un attimo.

sabato 26 gennaio 2013


 
 
La mia rivoluzione
di Fiorella Mannoia

Che cosa evoca oggi la parola rivoluzione? Che cos’è oggi rivoluzionario? Viviamo in una sorta di mondo alla rovescia, dove l’illecito è diventato normale, dove i politici fanno spettacolo e gli attor...i, i cantanti, i comici, si occupano della politica. Dove viene scambiato il diritto per il favore. Dove la cultura è giudicata superflua e dispendiosa, praticamente inutile. Dove chi dovrebbe dare il buon esempio si vanta delle sue malefatte e giudica stupido chi si ostina a credere nella legalità, e lo discredita, lo calunnia, lo annienta. E la parola rivoluzione assume un significato più profondo, che riguarda anche il comportamento di ognuno di noi. Provo a fare un elenco di quello che per me oggi è rivoluzionario:

Rivoluzionario è il coraggio, rivoluzionaria è la sobrietà, l’educazione, la cultura, l’arte, rivoluzionario è il diritto alla scuola, al lavoro, alla salute, rivoluzionario è l’accesso alla conoscenza, rivoluzionario è il rifiuto della volgarità, anche quella dilagante dell’ostentazione del lusso, rivoluzionario è il rifiuto della violenza, anche quella verbale, rivoluzionario è dire a chi cerca di corromperti: “No, grazie”. Rivoluzionario è insegnare ai propri figli il rispetto di tutte le diversità, l’accoglienza, la compassione, la fratellanza, la capacità e la volontà di provare a condividere il dolore degli altri, rivoluzionario è combattere il pregiudizio, rivoluzionaria è la ricerca della bellezza, rivoluzionario è spegnere la televisione e dedicarsi ai propri cari, coltivare delle passioni, continuare a giocare, rivoluzionario è il sorriso, la gentilezza, l’umiltà, il saper ridere anche di noi stessi e delle nostre miserie, rivoluzionaria è la semplicità, il godere di un buon cibo, di un buon vino, rivoluzionario è divertirsi ballando fino alle quattro del mattino senza bisogno di additivi chimici, rivoluzionario è guardarsi allo specchio senza vergognarsi di ciò che vediamo riflesso, rivoluzionario è non sentirsi al centro dell’universo e guardare altro oltre noi stessi, rivoluzionario è fare bene il proprio lavoro qualsiasi esso sia, rivoluzionaria è l’onestà, anche e soprattutto quella intellettuale, rivoluzionaria è l’etica, rivoluzionario è il coraggio delle proprie idee, rivoluzionario è chiedersi sempre che cosa si nasconda dietro le notizie dell’informazione ufficiale, non smettere mai di cercare, ragionare con la propria testa e porsi sempre delle domande, rivoluzionario è l’approfondimento contro la superficialità, rivoluzionario è il giornalismo della “seconda domanda”, rivoluzionario è non piegare la testa di fronte ai potenti, chiunque essi siano. Rivoluzionario è schierarsi sempre dalla parte degli ultimi, chiunque essi siano.

Rivoluzionaria è la curiosità, la libertà di pensiero, rivoluzionaria è la coerenza, la gratitudine, la capacità di chiedere scusa, rivoluzionaria è la dignità, il rispetto, il perdono, rivoluzionaria è l’indignazione per l’ingiustizia ovunque si verifichi e avere il coraggio di gridarla, rivoluzionario è combattere l’avidità che è il più pericoloso dei mali, rivoluzionario è dare un senso alla propria vita rivendicando il diritto alla felicità ma avendo la consapevolezza che questo non passa solo attraverso il denaro. Rivoluzionario è fare ognuno il proprio dovere di cittadino ricercando sempre la verità, che è la più grande delle rivoluzioni.

da Il Fatto Quotidiano


venerdì 4 gennaio 2013

Canzone per Piero




Mio vecchio amico di giorni e pensieri da quanto tempo che ci conosciamo,
venticinque anni son tanti e diciamo un po' retorici che sembra ieri.
Invece io so che è diverso e tu sai quello che il tempo ci ha preso e ci ha dato:
io appena giovane sono invecchiato, tu forse giovane non sei stato mai.
Ma d' illusioni non ne abbiamo avute, o forse si, ma nemmeno ricordo,
tutte parole che si son perdute con la realtà incontrata ogni giorno.
Chi glielo dice a chi è giovane adesso di quante volte si possa sbagliare,
fino al disgusto di ricominciare perchè ogni volta è poi sempre lo stesso.
Eppure il mondo continua e va avanti con noi o senza e ogni cosa si crea
su ciò che muore e ogni nuova idea su vecchie idee e ogni gioia su pianti.
Ma più che triste ora è buffo pensare a tutti i giorni che abbiamo sprecati,
a tutti gli attimi lasciati andare e ai miti belli delle nostre estati.
Dopo l'inverno e l' angoscia in città quei lunghi mesi sdraiati davanti,
liberazione del fiume e dei monti e linfa aspra della nostra età.
Quei giorni spesi a parlare di niente sdraiati al sole inseguendo la vita,
come l' avessimo sempre capita, come qualcosa capito per sempre.
Il mio Leopardi, le tue teologie: "Esiste Dio ?" Le risate più pazze,
le sbornie assurde, le mie fantasie, le mie avventure in città con ragazze.
Poi quell' amore alla fine reale tra le canzoni di moda e le danze:
"E' in gamba sai, legge Edgar Lee Masters. Mi ha detto no, non dovrei mai pensare."
Le sigarette con rabbia fumate, i blue jeans vecchi e le poche lire,
sembrava che non dovesse finire, ma ad ogni autunno finiva l' estate.
Poi tutto è andato e diciamo siam vecchi, ma cosa siamo e che senso ha mai questo
nostro cammino di sogni fra specchi, tu che lavori quand' io vado a letto.
Io dico sempre non voglio capire, ma è come un vizio sottile e più penso
più mi ritrovo questo vuoto immenso e per rimedio soltanto il dormire.
E poi ogni giorno mi torno a svegliare e resto incredulo, non vorrei alzarmi,
ma vivo ancora e son lì ad aspettarmi le mie domande, il mio niente, il mio male...

mercoledì 2 gennaio 2013

Natale 2012

                                               A F F E T T O





                                           

                                         E M O Z I O N I



                          B  U  O  N     A N N O   2 0 1 3