Se qualcuno volesse dipingerlo come un messo del
Signore, potrebbe anche avere dei validi argomenti per sostenerlo. Analizzando
la sua produzione artistica infatti, volendo partire dai testi degli album
pubblicati, si nota facilmente che la prima canzone del primo album e l’ultima
traccia dell’ultimo, sono due preghiere. Può sembrare una coincidenza
incredibile, ma è certo che la sua produzione inizia con “Preghiera in Gennaio”
(Volume I, anno 1966 [1] ) e si chiude esattamente trent’anni dopo con “Smisurata
Preghiera” (Anime Salve, anno 1996). La prima dedicata al suo amico e
conterraneo Luigi Tenco; l’altra testamento di chi viaggia in direzione
ostinata e contraria. Compreso lui.
Non è questa la sede per scoprire il perché i testi di
Fabrizio De André possono essere considerati Poesia. Perché è finito nelle
antologie scolastiche, perché usa una elevata quantità di figure retoriche,
perché suscita sentimenti e perché non svela subito e non tutto il mistero che
c’è dietro le sue parole. Non ci spiega e non ci dà semplicemente un
sentimento, ce lo porge ma ce lo lascia scoprire con maestria, ci invita a
riflettere. Ma non sono qui per convincere il lettore che ancora non lo sia,
che Fabrizio va annoverato tra i grandi poeti italiani, oltreché in quello dei cantautori[2].
Non è questo l’articolo per esaltare le sue doti canore, musicali o ancora la
straordinaria persona che era, l’articolo in cui si ricorda semplicemente la
sua vita o la sua produzione artistica. Vogliamo ricordare a dieci anni dalla
sua scomparsa quanto può essere attuale il suo messaggio, la sua poetica e
riscoprire quanto possa essere ancora valida e presa ad esempio dalle nuove
generazioni che non hanno potuto per ragioni anagrafiche conoscere Fabrizio.
La produzione poetica di Fabrizio De André è
incentrata per la verità quasi esclusivamente, come tutti sappiamo, su temi
sociali: gli ultimi, i diseredati, i suicidi, i drogati, gli emarginati in
genere. A 10 anni di distanza dalla sua scomparsa, avvenuta l’11 gennaio del
1999, cosa c’è rimasto, in campo artistico, della sua poetica? Poco a mio
parere, a dir la verità. Pochi sono riusciti a scrivere un pezzo che
restituisca dignità al popolo rom come ha saputo fare “Khorakhané”, nonostante
sia tema più che attuale.
Il clima culturale è cambiato, forse peggiorato,
ognuno ripiega su se stesso ed ha paura. La società si è imborghesita ancor di
più, avrebbe pensato Fabrizio, ed ha escluso ancor di più gli emarginati.
L’intolleranza ha avuto la meglio sull’uguaglianza, i disperati sono aumentati
e la loro disperazione è cresciuta a dismisura: la discriminazione trova il
consenso tra molti italiani. Una guerra tra poveri. Avrebbe avuto di che
scrivere Fabrizio.
Avrebbe trovato perdono per tutti, lui che era intriso
di cristianità e odio per queste gerarchie ecclesiastiche, avrebbe fatto un
sorriso da pescatore addormentato restituendo al discriminato e al peccatore
un’umanità romantica.
Fabrizio è stato un pilastro della canzone italiana,
nella scelta dei temi e nel modo in cui trattarli. Una delle sue canzoni più
famose e più belle parla di una bambina, una graziosa, una puttana, non solo
azzardando l’accostamento di questi tre termini solitamente inavvicinabili, ma
sottolineando le virtù di questo insolito personaggio e ricordando che dai
diamanti non nasce niente e dal letame nascono i fiori. Parole e accostamenti
che sarebbero stati considerati dissacranti e volgari, in “Via del Campo”
diventano poesia armoniosa e gradevole tanto da poter essere passate dalle
radio da supermercato. “Il Pescatore” è studiato sui testi d’antologia
scolastica. Eppure narra di un uomo che incrocia casualmente un assassino
affamato ed assetato ma che, ignorando il dettaglio dei problemi con la legge,
dà da bere all’assetato e sfama l’affamato. Un nuovo Cristo pescatore d’anime
che versa il vino e spezza il pane e che perdona anche gli assassini. Aiuta chi
va da lui con occhi enormi di paura e non chi si presenta con le armi. Questa è
la politica di De André, anarchica, sovversiva, disobbediente alla legge,
trasformata in poesia. Un messaggio enorme che attraversa tutti i suoi testi,
dal suicida Michè al soldato Piero, fino a Cafiero Pasquale di Don Raffaè.
Tutti i personaggi e tutte le situazioni.
Ed è proprio lui che col suo marchio speciale di
speciale disperazione, consegna alla morte una goccia di splendore, di umanità,
di verità. È proprio lui che a distanza di tanti anni combatte una battaglia
non ancora vinta del riscatto sociale: la cattiva strada percorsa durante tutto
l’arco della sua carriera artistica come della sua vita privata. Sulla cattiva
strada, quella di “Bocca di Rosa”, quella dei personaggi della “Città Vecchia”,
quella dell’impiegato alienato come quella del Cristo della “Buona Novella”;
sulla cattiva strada di “Sally” come su quella di “Princesa” c’è amore un po’
per tutti, perché in fin dei conti – ed questo è il messaggio deandreano –
anche se non sono gigli, personaggi buoni, puliti, borghesi, son pur sempre
persone umane, figli vittime di questo mondo.
La poesia di De André ha più linguaggi, come quella
dantesca, che poggiano su diversi livelli. Il linguaggio semplice e
orecchiabile della canzone e della bella voce, il significato letterale del
testo e infine il significato più nascosto da svelare e da interpretare. In
certi casi il testo letterale perde quasi significato e non possiamo far altro
che arrovellarci sul significato metaforico: la scimmia del quarto Reich, la
pantomima delle finte e limitate democrazie occidentali che imprigionano
l’individuo e lo schiavizzano con una facciata di libertà e liberismo, ballava
la polka sopra il muro, danzava sulle ceneri del mondo comunista non
accorgendosi che mentre si arrampicava, mentre vinceva, tutti le avevano visto
il culo, tutti avevano visto le sue cose nascoste, tutti si erano accorti dei
difetti di questo carro festoso del vincitore sul quale però tutti non potevano
far altro che salire. Scoprire passo passo i significati che stanno dietro ad
ogni strofa, rende la poesia ancora più grande e più magica perché abbiamo
dovuto usare l’intelletto per svelarne il significato, il quale una volta
svelato appaga appieno il nostro ego ad ogni riascolto.
Fabrizio tratta un tema alto ed ha un linguaggio per
tutti. Ci narra le difficili vite dei semplici in modo umano. Molti cantautori,
soprattutto negli ultimi tempi, sfruttano la loro voce potente per battere il
tamburo, per protestare e smascherare i difetti e le contraddizioni della
società, pagando un ovvio dazio alla poetica di De André (non ultimo Frankie Hi
Nrg a Sanremo 2008 ha portato “Rivoluzione”, il cui intro ripropone
esplicitamente il fischio iniziale della “Canzone del Maggio”); ma la maestria
con cui Fabrizio ci descrive poetando il suo amore per il pensiero libero,
stimolandolo anche in noi con questa sua abilità disarmante, è di sicuro la
dote che i suoi ascoltatori più “colti” apprezzano maggiormente e che i suoi
successori più meritevoli riproducono raramente.
Marco Lucci