sabato 15 dicembre 2012

David Grossman Caduto fuori dal tempo






«E’ difficile rimanere umani in una situazione tanto disumana», dichiara David Grossman a Paola Zanuttini, inviata del Venerdì di Repubblica.
E per cercare quell’umanità che non c’è più o che forse non c’è mai stata lo scrittore israeliano si è rifugiato nella poesia, perché – come sostiene la moglie – è la forma scritta che più si avvicina al silenzio. Nel libro, che si intitola “Caduto fuori dal tempo”, l’autore israeliano affronta il delicato tema della morte di un figlio. Un libro autobiografico, dunque, considerando che Grossman ha perso il figlio Uri nel 2006, durante la guerra israelo – libanese.
“In caduto fuori dal tempo” tutto comincia con un’immagine, un gesto, un movimento di misteriosa, evocativa potenza: un uomo si alza all’improvviso da tavola, prende commiato dalla moglie ed esce per andare “laggiù”. Ha perso un figlio, anni prima e “laggiù” è dove il mondo dei vivi confina con la terra dei morti. Non sa dove sta andando, e soprattutto non sa cosa troverà. Lascia che siano le gambe a condurlo, per giorni e notti gira intorno alla sua città e a poco a poco si unisce a lui una variegata serie di personaggi che vivono lo stesso dramma e lo stesso dolore: il Duca signore di quelle terre, una riparatrice di reti da pesca, una levatrice, un ciabattino, un anziano insegnante che risolve problemi di matematica sui muri delle case. E l’uomo a cui è stato affidato l’incarico di scrivere le cronache cittadine. Ciascuno ha la propria storia, chi ha perso il figlio per una grave malattia, chi in un incidente, chi in guerra. Insieme a loro idealmente, visto che non può muoversi dalla sua stanza, c’è anche una strana figura di Centauro, con la parte inferiore del corpo che nel tempo si è trasformata in scrivania. È uno scrittore che da quindici anni vive circondato dagli oggetti del figlio che non c’è più, e il cui unico desiderio da allora è catturare quella morte con le parole. “Non riesco a capire qualcosa finché non la scrivo” dice. È lui a ispirare e a inglobare la storia che stiamo leggendo.
La marcia di quei genitori prosegue in giri sempre più ampi intorno alla città, monologando o dialogando ognuno di essi parla di sé, del desiderio di rivedere almeno una volta il proprio figlio, della vita che si è interrotta in quel tragico momento. E ognuno ha una sua voce, che Grossman in modo sublime trasforma nella voce della poesia, la lingua del dolore. Arriveranno “laggiù”? Sì, ci arriveranno, fusi a quel punto in un coro di pura e profonda umanità. E noi con loro, in pagine di sconvolgente intensità e verità. Per capire, insieme a Centauro, che il cammino di questi uomini e donne esiliati nella terra del dolore è stato una “lotta contro la distruzione, la cancellazione, l’oblio”, il bisogno di dare un paesaggio a quella terra, la volontà di sottrarre la memoria alla tenebra per riconsegnarla alla vita.
L’AUTORE
David Grossman è nato nel 1954 a Gerusalemme, dove vive. Ha cominciato la sua carriera come giornalista in una radio israeliana, ed è diventato un caso letterario internazionale nel 1988 grazie al successo di "Vedi alla voce: amore". È autore di romanzi ormai famosi: Il libro della grammatica interiore (1992), Ci sono bambini a zigzag (1996), Che tu sia per me il coltello (1999), Qualcuno con cui correre (2001), Col corpo capisco (2003) e A un cerbiatto somiglia il mio amore (2008).
Ma David Grossman è anche autore noto e amato di libri per bambini e per ragazzi, fra cui ricordiamo la serie dedicata a Itamar, Il duello, Buonanotte giraffa e i più recenti La lingua speciale di Uri e Ruti vuole dormire. Del suo pubblico impegno a favore del processo di pace in Medio Oriente (per cui collabora regolarmente a testate come “la Repubblica”, “The Guardian” e “The New York Times”) sono infine testimonianza i saggi- inchiesta Il vento giallo (1988), Un popolo invisibile (1993) e le raccolte di articoli La guerra che non si può vincere (2003) e Con gli occhi del nemico (2007).















lunedì 3 dicembre 2012


 
 
Ecco le foto vincitrici del concorso sul tema della dignità
 
 
 
 
La prima classificata è “TALE E QUALE!” di Franz Bias: un clochard
davanti a una vetrina in cui campeggia lo slogan “Life is now”.
La vita è adesso anche per chi dorme sul marciapiede. Paradosso tra
l’avanzare della tecnologia e della povertà: la vita non è una banda larga
 ma è nella persona che si copre con uno straccio.
 
 
 
 
La seconda classificata è “MELODIA ALLEGRA” di Alessandro Gambarini:
 un bambino suona allegramente la fisarmonica davanti a un piattino per le offerte;
 la scena è rappresentazione dell’infanzia negata e della negazione dei diritti
 dei bambini, primo fra tutti il diritto al gioco.
 
 
 
 
La terza classificata è “FUTURO DI UNA SCATOLA” di Marco Tabaro:
un bambino ride di gusto seduto dentro una scatola di cartone.
Emblema del futuro incerto di un’infanzia a rischio. 
 
 
 
 
Per coinvolgere maggiormente il pubblico, abbiamo voluto dare ai nostri
 numerosi visitatori la possibilità di votare lo scatto preferito.
 Il premio del pubblico è andato alla foto “FAME” di Mirko Panzeri:
la pena infinita di un clochard chino su un cestino della spazzatura.
 Questa foto ha anche ricevuto una segnalazione speciale dalla giuria.
 
Soddisfatti ed entusiasti di questa esperienza, speriamo che tutte le foto possano
ancora dare testimonianza e voce silenziosa a una campagna importante
di Amnesty International che vuole portare l’attenzione sulla
 centralità della dignità umana.
 
 
 
 
 
 

domenica 2 dicembre 2012

Banco del Mutuo Soccorso

" 750.000 anni fa l'amore "

http://www.youtube.com/watch?v=l9WuhyigROw

Già l'acqua inghiotte il sole
ti danza il seno mentre corri a valle
con il tuo branco ai pozzi
le labbra secche vieni a dissetare
Corpo steso dai larghi fianchi
nell'ombra sto, sto qui a vederti
possederti, si possederti... possederti...

Ed io tengo il respiro
se mi vedessi fuggiresti via
e pianto l'unghie in terra
l'argilla rossa mi nasconde il viso
ma vorrei per un momento stringerti a me
qui sul mio petto
ma non posso fuggiresti fuggiresti via da me
io non posso possederti possederti
io non posso fuggiresti
possederti io non posso...
Anche per una volta sola.

Se fossi mia davvero
di gocce d'acqua vestirei il tuo seno
poi sotto i piedi tuoi
veli di vento e foglie stenderei
Corpo chiaro dai larghi fianchi
ti porterei nei verdi campi e danzerei
sotto la luna danzerei con te.

Lo so la mente vuole
ma il labbro inerte non sa dire niente
si è fatto scuro il cielo
già ti allontani resta ancora a bere
mia davvero ah fosse vero
ma chi son io uno scimmione
senza ragione senza ragione senza ragione
uno scimmione fuggiresti fuggiresti
uno scimmione uno scimmione senza ragione
tu fuggiresti, tu fuggiresti...