giovedì 26 dicembre 2013

Auguri con Snoopy




A quegli amici su cui posso contare senza riserve;
a chi c'è sempre nel momento del bisogno;
a chi non si dimentica, nemmeno una volta, di perdonare i miei errori;
a chi c'è sempre nonostante gli sbagli;
a chi mi sorride anche se prova dolore nel cuore;
a chi usa gentilezza senza aspettersi nulla in cambio;
a chi osa amare, sorridere, sperare e mi insegna a farlo
                                                    a tutti voi amici sinceri

AUGURI  DI  CUORE!




Buone feste


Vi auguro giorni sereni, dedicati alle persone che più si amano, alle cose trascurate per mancanza di tempo, al prevalere delle emozioni, spesso trascurate.
"Le emozioni sono come i colori primari. Sono i rossi, i gialli e i blu che danno origine a tutte le sfumature della vita".

sabato 2 novembre 2013

Pasolini

Senza di te tornavo,
non più capace d'esser solo, a sera
quando le stanche nuvole dileguano
nel buio incerto.
Mille volte son stato così solo
dacché son vivo, e mille uguali sere
m'hanno oscurato agli occhi l'erba, i monti
le campagne, le nuvole.
Solo   nel giorno, e poi dentro il silenzio
della fatale sera. Ed ora, ebbro,
torno senza di te, e al mio fianco
c'è solo l'ombra.
E mi sarai lontano mille volte,
e poi, per sempre. Io non so frenare
quest'angoscia che monta dentro al seno;
essere solo.


Pier Paolo Pasolini


Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Lido di Ostia, 2 novembre 1975

  • Il 2 novembre 1975 veniva assassinato Pier Paolo Pasolini, a noi piace ricordarlo così: "Una educazione comune, obbligatoria e sbagliata ci spinge tutti dentro... l’arena dell’avere tutto a tutti i costi. In questa arena siamo spinti come una strana e cupa armata in cui qualcuno ha i cannoni e qualcuno ha le spranghe. Allora una prima divisione, classica, è «stare con i deboli». Ma io dico che, in un certo senso tutti sono i deboli, perché tutti sono vittime. E tutti sono i colpevoli, perché tutti sono pronti al gioco del massacro. Pur di avere. L’educazione ricevuta è stata: avere, possedere, distruggere." Intervista a P.P.Pasolini


venerdì 1 novembre 2013

Il cuore selvatico del ginepro di Vanessa Roggeri

 Il cuore selvatico del ginepro, romanzo di Vanessa Roggeri.
 È notte. Il cielo è nero come inchiostro, e solo a tratti i fulmini illuminano l'orizzonte. È una notte di riti e credenze antiche, in cui la paura ha la forma della superstizione. In questa notte il rumore del tuono è di colpo spezzato da quello di un vagito: è nata una bambina. Ma non è innocente come lo sono tutti i piccoli alla nascita. Perché questa bambina ha una colpa non sua, che la segnerà come un marchio indelebile per tutta la vita. La sua colpa è di essere la settima figlia di sette figlie, e per questo è maledetta. E qui nel suo paese, in Sardegna, c'è un nome preciso per le bambine maledette, si chiamano cogas, che significa streghe. Liberarsene quella stessa notte, senza pensarci più, così ha deciso la famiglia Zara. Ma qualcuno non ci sta. Lucia, la primogenita, compie il primo atto ribelle dei suoi dieci anni di vita. Scappa fuori di casa, sotto la pioggia battente, per raccogliere quella sorella che non ha ancora un nome. La salva e la riporta a casa, e decide di chiamarla Ianetta. Non c'è alternativa ora, per gli Zara. È sopravvissuta alla notte, devono tenerla. Eppure il suo destino è già scritto: giorno dopo giorno, stagione dopo stagione, sarà una reietta, una marginata. Odiata da tutti, tranne che da Lucia, è  lei l'unica a non averne paura , lei l'unica a frapporsi tra la cieca superstizione e l'innocenza di Ianetta. Contro tutto e tutti. Lei l'unica a capire chi si nasconde dietro quegli occhi spaventati e selvatici: una bambina in cerca di amore, che farebbe qualsiasi cosa pur di ricevere uno sguardo e una carezza. Solo una bambina, solo una ragazza, con un cuore forte e selvatico come il ginepro. Le sue radici non si possono estinguere così facilmente; la loro fibra è fatta di ferro e se fuori bruciano, dentro il cuore rimane vivo. Questa è la storia di una bambina e di una colpa non sua. È la storia di una sopravvivenza e della lotta contro le superstizioni. È la storia di due sorelle, quella maledetta dall'ignoranza e colei che sa vedere oltre. È la storia di una terra e delle sue tradizioni più arcaiche e oscure. Una storia che trabocca in modo dirompente di passioni: amore, rabbia, disperazione e speranza.

Vanessa Roggeri è nata e cresciuta a Cagliari, dove si è laureata in Relazioni Internazionali. Ama definirsi una sarda nuragica, innamorata della sua isola così aspra e coriacea, ma anche fiera e indomita. La sua passione per la scrittura è nata fin da quando la nonna le raccontava favole e leggende sarde intrecciate alle proprie memorie d'infanzia. Queste storie di una Sardegna antica, magica e misteriosa l'hanno segnata profondamente facendole nascere il gusto per la narrazione e il desiderio di mantenere vivo il sottile filo che ci collega a un passato ormai perduto.

Quando finisci di leggere un libro ti accorgi di quanto ti ha trasmesso, delle considerazioni che ti porta a fare, delle sensazioni che ti ha lasciato lungo il percorso della sua lettura. Pensiamo di essere liberi da superstizioni o altri condizionamenti sociali,  di non farci coinvolgere da essi ma questi buoni propositi, molte volte, restano solo dei pensieri perché, anche senza accorgercene, non facciamo niente per renderli reali, concreti.
Lucia ama questa sua sorella così diversa dalle altre, capisce che in Ianetta non c'è nulla che possa portare a farla  odiare e respingere in modo così crudele e illogico. Non sa come aiutarla, ha nel cuore la sua situazione ma non riesce a modificare molto perché ha delle resistenze anche lei, si lascia coinvolgere per paura. Si riscatta con la sua scelta finale, senza darne conto a  chi e le è attorno, senza dover giustificare a nessuno  la sua decisione definitiva: essere una vera sorella, fare una scelta solo sua, scelta di coerenza, comprensione, amore.

domenica 21 luglio 2013

Jacques Prevert

 JACQUES PREVERT, Les enfants qui s'aiment (I ragazzi che si amano).

I ragazzi che si amano si baciano in piedi
contro le porte della notte
e i passanti che passano li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
non ci sono per nessuno
ed è la loro ombra soltanto
che trema nella notte
stimolando la rabbia dei passanti
la loro rabbia il loro disprezzo le risa la loro invidia
prevert.jpgI ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
essi sono altrove molto più lontano della notte
molto più in alto del giorno
nell'abbagliante splendore del loro primo amore.







Les enfants qui s'aiment s'embrassent debou
Contre les portes de la nuit
Et les passants qui passent les désignent du doigt
Mais les enfants qui s'aiment
Ne sont là pour personne
Et c'est seulement leur ombre
Qui tremble dans la nuit
Excitant la rage des passants
Leur rage leur mépris leurs rires et leur envie
Les enfants qui s'aiment ne sont là pour personne
Ils sont ailleurs bien plus loin que la nuit
Bien plus haut que le jour
Dans l'éblouissante clarté de leur premier amour.


mercoledì 19 giugno 2013

Fabrizio De Andrè

L'autore di questo articolo, oltre ad amare e conoscere nel profondo Fabrizio De André, penso che possegga una grande sensibilità  e ricchezza interiore.

Se qualcuno volesse dipingerlo come un messo del Signore, potrebbe anche avere dei validi argomenti per sostenerlo. Analizzando la sua produzione artistica infatti, volendo partire dai testi degli album pubblicati, si nota facilmente che la prima canzone del primo album e l’ultima traccia dell’ultimo, sono due preghiere. Può sembrare una coincidenza incredibile, ma è certo che la sua produzione inizia con “Preghiera in Gennaio” (Volume I, anno 1966 [1] ) e si chiude esattamente trent’anni dopo con “Smisurata Preghiera” (Anime Salve, anno 1996). La prima dedicata al suo amico e conterraneo Luigi Tenco; l’altra testamento di chi viaggia in direzione ostinata e contraria. Compreso lui.

Non è questa la sede per scoprire il perché i testi di Fabrizio De André possono essere considerati Poesia. Perché è finito nelle antologie scolastiche, perché usa una elevata quantità di figure retoriche, perché suscita sentimenti e perché non svela subito e non tutto il mistero che c’è dietro le sue parole. Non ci spiega e non ci dà semplicemente un sentimento, ce lo porge ma ce lo lascia scoprire con maestria, ci invita a riflettere. Ma non sono qui per convincere il lettore che ancora non lo sia, che Fabrizio va annoverato tra i grandi poeti italiani, oltreché in quello dei cantautori[2]. Non è questo l’articolo per esaltare le sue doti canore, musicali o ancora la straordinaria persona che era, l’articolo in cui si ricorda semplicemente la sua vita o la sua produzione artistica. Vogliamo ricordare a dieci anni dalla sua scomparsa quanto può essere attuale il suo messaggio, la sua poetica e riscoprire quanto possa essere ancora valida e presa ad esempio dalle nuove generazioni che non hanno potuto per ragioni anagrafiche conoscere Fabrizio.

La produzione poetica di Fabrizio De André è incentrata per la verità quasi esclusivamente, come tutti sappiamo, su temi sociali: gli ultimi, i diseredati, i suicidi, i drogati, gli emarginati in genere. A 10 anni di distanza dalla sua scomparsa, avvenuta l’11 gennaio del 1999, cosa c’è rimasto, in campo artistico, della sua poetica? Poco a mio parere, a dir la verità. Pochi sono riusciti a scrivere un pezzo che restituisca dignità al popolo rom come ha saputo fare “Khorakhané”, nonostante sia tema più che attuale.

Il clima culturale è cambiato, forse peggiorato, ognuno ripiega su se stesso ed ha paura. La società si è imborghesita ancor di più, avrebbe pensato Fabrizio, ed ha escluso ancor di più gli emarginati. L’intolleranza ha avuto la meglio sull’uguaglianza, i disperati sono aumentati e la loro disperazione è cresciuta a dismisura: la discriminazione trova il consenso tra molti italiani. Una guerra tra poveri. Avrebbe avuto di che scrivere Fabrizio.

Avrebbe trovato perdono per tutti, lui che era intriso di cristianità e odio per queste gerarchie ecclesiastiche, avrebbe fatto un sorriso da pescatore addormentato restituendo al discriminato e al peccatore un’umanità romantica.

Fabrizio è stato un pilastro della canzone italiana, nella scelta dei temi e nel modo in cui trattarli. Una delle sue canzoni più famose e più belle parla di una bambina, una graziosa, una puttana, non solo azzardando l’accostamento di questi tre termini solitamente inavvicinabili, ma sottolineando le virtù di questo insolito personaggio e ricordando che dai diamanti non nasce niente e dal letame nascono i fiori. Parole e accostamenti che sarebbero stati considerati dissacranti e volgari, in “Via del Campo” diventano poesia armoniosa e gradevole tanto da poter essere passate dalle radio da supermercato. “Il Pescatore” è studiato sui testi d’antologia scolastica. Eppure narra di un uomo che incrocia casualmente un assassino affamato ed assetato ma che, ignorando il dettaglio dei problemi con la legge, dà da bere all’assetato e sfama l’affamato. Un nuovo Cristo pescatore d’anime che versa il vino e spezza il pane e che perdona anche gli assassini. Aiuta chi va da lui con occhi enormi di paura e non chi si presenta con le armi. Questa è la politica di De André, anarchica, sovversiva, disobbediente alla legge, trasformata in poesia. Un messaggio enorme che attraversa tutti i suoi testi, dal suicida Michè al soldato Piero, fino a Cafiero Pasquale di Don Raffaè. Tutti i personaggi e tutte le situazioni.

Ed è proprio lui che col suo marchio speciale di speciale disperazione, consegna alla morte una goccia di splendore, di umanità, di verità. È proprio lui che a distanza di tanti anni combatte una battaglia non ancora vinta del riscatto sociale: la cattiva strada percorsa durante tutto l’arco della sua carriera artistica come della sua vita privata. Sulla cattiva strada, quella di “Bocca di Rosa”, quella dei personaggi della “Città Vecchia”, quella dell’impiegato alienato come quella del Cristo della “Buona Novella”; sulla cattiva strada di “Sally” come su quella di “Princesa” c’è amore un po’ per tutti, perché in fin dei conti – ed questo è il messaggio deandreano – anche se non sono gigli, personaggi buoni, puliti, borghesi, son pur sempre persone umane, figli vittime di questo mondo.

La poesia di De André ha più linguaggi, come quella dantesca, che poggiano su diversi livelli. Il linguaggio semplice e orecchiabile della canzone e della bella voce, il significato letterale del testo e infine il significato più nascosto da svelare e da interpretare. In certi casi il testo letterale perde quasi significato e non possiamo far altro che arrovellarci sul significato metaforico: la scimmia del quarto Reich, la pantomima delle finte e limitate democrazie occidentali che imprigionano l’individuo e lo schiavizzano con una facciata di libertà e liberismo, ballava la polka sopra il muro, danzava sulle ceneri del mondo comunista non accorgendosi che mentre si arrampicava, mentre vinceva, tutti le avevano visto il culo, tutti avevano visto le sue cose nascoste, tutti si erano accorti dei difetti di questo carro festoso del vincitore sul quale però tutti non potevano far altro che salire. Scoprire passo passo i significati che stanno dietro ad ogni strofa, rende la poesia ancora più grande e più magica perché abbiamo dovuto usare l’intelletto per svelarne il significato, il quale una volta svelato appaga appieno il nostro ego ad ogni riascolto.

Fabrizio tratta un tema alto ed ha un linguaggio per tutti. Ci narra le difficili vite dei semplici in modo umano. Molti cantautori, soprattutto negli ultimi tempi, sfruttano la loro voce potente per battere il tamburo, per protestare e smascherare i difetti e le contraddizioni della società, pagando un ovvio dazio alla poetica di De André (non ultimo Frankie Hi Nrg a Sanremo 2008 ha portato “Rivoluzione”, il cui intro ripropone esplicitamente il fischio iniziale della “Canzone del Maggio”); ma la maestria con cui Fabrizio ci descrive poetando il suo amore per il pensiero libero, stimolandolo anche in noi con questa sua abilità disarmante, è di sicuro la dote che i suoi ascoltatori più “colti” apprezzano maggiormente e che i suoi successori più meritevoli riproducono raramente.


                                                                   Marco Lucci

domenica 17 febbraio 2013

Luciana Littizzetto

Gli uomini fanno fatica a dire ti amo. Lo dicono solo in caso di estrema necessità, tipo quando proprio non ne possono fare a meno, sennò dicono dei surrogati. Dei derivati del ti amo. Che fanno danni come i derivati delle banche. Dite delle cose tipo: sei molto importante per me. E cosa vuol dire molto importante? Anche non pestare una cacca di cane prima di portare le scarpe al calzolaio è molto importante, ma non è mica la stessa cosa che dire ti amo. Dite cose tipo: Mi fai stare bene. Ma mi fai stare bene lascialo dire a Biagio Antonacci. Dillo al tuo medico Shiatzu quando ti schiaccia i piedi per metterti a posto la cervicale. Oppure sprecate quelle parole tipo tesoro, meraviglia, splendore. Ma splendore cosa? Guardami. Splendo? Non sono mica una plafoniera? Ma dite ti amo, pezzi di cretini! Se la prima volta vi vergognate mettete la testa nel sacchetto del pane?! Dite “ti amo” mentre vi lavate i denti? Sglrlb? Va bene anche quello. Poi al limite cambiate idea. Dire una volta ti amo non crea nè impotenza nè assuefazione.
Poi il bello è che non capite nulla anche quando siamo noi a dirvi parole d’amore. Se vi diciamo cose romantiche tipo: Amore, guarda che luna.. voi rispondete: Minchia l’una? Pensavo fossero le undici. Andiamo che mi è scaduto il parcheggio. Ma noi vi amiamo lo stesso. Cosi come siete. Vi amiamo anche quando…vi vantate di aver scritto il vostro nome facendo pipì sulla neve, amiamo i vostri piedi anche se sono armi di distruzione di massa, vi amiamo anche se di notte russate che ci sembra di dormire ai piedi dello Stromboli, vi amiamo anche se per trovarvi per casa basta seguire le tracce come per gli animali servatici, giacca, camicia, canotta, tutto lasciato per terra finchè sul divano non trovi un tizio con la felpa della Sampdoria che gioca alla Playstation, vi amiamo quando per fare un caffè ne spargete un quarto sul tappetino e due quarti sul gas. E poi dite che viene leggero.
Vi amiamo quando avvitate la caffettiera fino allo spasimo che per aprirla dobbiamo chiamare i pompieri, e poi non chiudete i barattoli, appoggiate solo il coperchio sopra cosi appena lo prendi sbadabam cade tutto. Vi amiamo quando sparecchiate la tavola con la tecnica del discobolo, mettendo in frigo la pentola della minestra che poggia su due mandarini. Vi amiamo quando a Natale scavate il panettone con le dita, quando per farvi un caffè sporcate la cucina che neanche 10 Benedette Parodi.. e pure quando per farvi la doccia allagate il bagno e lasciate la malloppa di peli nello scarico, che sembra di stare insieme a un setter irlandese! Vi amiamo quando diciamo voglio un figlio da te e voi rispondete “Magari un cane” e noi vorremmo abbandonare VOI in autostrada non il cane. Vi amiamo quando andate a lavare la macchina e ci chiudete dentro coi finestrini aperti, vi amiamo quando fate quelle battute tipo prima di fidanzarti guarda la madre, perché la figlia diventerà cosi, Voi no. Voi spesso siete pirla fin da subito. Vi amiamo quando mettete nella lavastoviglie i coltelli di punta, che quando noi la svuotiamo ci scarnifichiamo, e quando invece di sostituire il rotolo finito della carta igienica usate il tubetto di cartone grigio come cannocchiale.
E’ per amore vostro che facciamo finta di addormentarci abbracciati anche se dormire sul vostro omero ci dà un po’ la sensazione di appoggiare la mandibola su un ramo secco di castagno, e vi amiamo anche se considerate come dogma assoluto che l’arrosto della mamma è più buono di quello che facciamo noi. Il creatore non ha detto: E la suocera fece l’arrosto fatelo sempre cosi in memoria di me.
Insomma, noi vi amiamo anche quando date il peggio, vi amiamo nella buona ma soprattutto nella schifosa sorte. Vi amiamo perché amiamo l’amore che è un apostrofo rosa tra le parole: E’ irrecuperabile.. ma quasi quasi me lo tengo.
Perchè San valentino è la festa dell’amore, declinato in tutte le sue forme. L’amore delle persone che si amano. Anche delle donne che amano le donne e degli uomini che amano gli uomini. MA CHE CI INTERESSA QUELLO CHE FANNO A LETTO.. L’IMPORTANTE E’ CHE LE PERSONE SI VOGLIANO BENE, SOLO QUESTO CONTA.
Pensa che bello sarebbe vivere in un paese dove tutti i diritti fossero riconosciuti. Ma non solo i diritti dei soldi. Quelli dell’anima. Quelli che mi dicono che posso vegliare la persona che ho amato per anni in un letto d’ospedale senza nessuno che mi cacci via perchè non siamo parenti. E poi vorremmo un san valentino dove nessun uomo per farci i complimenti dicesse che siamo donne con le palle. Dirci che siamo donne con le palle non è un complimento. Non le vogliamo. Abbiamo già le tette. Tra l’altro sono due e sferiche anche quelle. Vogliamo solo rispetto. In Italia in media ogni due o tre giorni un uomo uccide una donna, compagna, figlia, amante, sorella, ex.
Magari in famiglia. Perché non è che la famiglia sia sempre, per forza, quel luogo magico in cui tutto è amore.
La uccide perché la considera una sua proprietà. Perché non concepisce che una donna appartenga a se stessa, sia libera di vivere come vuole lei e persino di innamorarsi di un altro.. E noi che siamo ingenue spesso scambiamo tutto per amore, ma l’amore con la violenza e le botte non c’entrano un tubo. L’amore, con gli schiaffi e i pugni c’entra come la libertà con la prigione. Noi a Torino, che risentiamo della nobiltà reale, diciamo che è come passare dal risotto alla merda.
Un uomo che ci mena non ci ama. Mettiamocelo in testa. Salviamolo nell’hard disk. Vogliamo credere che ci ami? Bene. Allora ci ama MALE. Non è questo l’amore. Un uomo che ci picchia è uno stronzo. Sempre. E dobbiamo capirlo subito. Al primo schiaffo. Perché tanto arriverà anche il secondo, e poi un terzo e un quarto. L’amore rende felici e riempie il cuore, non rompe costole e non lascia lividi sulla faccia. Pensiamo mica di avere sette vite come i gatti? No. Ne abbiamo una sola. Non buttiamola via.

-Luciana Littizzetto

Gli uomini fanno fatica a dire ti amo. Lo dicono solo in caso di estrema necessità, tipo quando proprio non ne possono fare a meno, sennò dicono dei surrogati. ...Dei derivati del ti amo. Che fanno danni come i derivati delle banche. Dite delle cose tipo: sei molto importante per me. E cosa vuol dire molto importante? Anche non pestare una cacca di cane prima di portare le scarpe al calzolaio è molto importante, ma non è mica la stessa cosa che dire ti amo. Dite cose tipo: Mi fai stare bene. Ma mi fai stare bene lascialo dire a Biagio Antonacci. Dillo al tuo medico Shiatzu quando ti schiaccia i piedi per metterti a posto la cervicale. Oppure sprecate quelle parole tipo tesoro, meraviglia, splendore. Ma splendore cosa? Guardami. Splendo? Non sono mica una plafoniera? Ma dite ti amo, pezzi di cretini! Se la prima volta vi vergognate mettete la testa nel sacchetto del pane?! Dite “ti amo” mentre vi lavate i denti? Sglrlb? Va bene anche quello. Poi al limite cambiate idea. Dire una volta ti amo non crea nè impotenza nè assuefazione.
Poi il bello è che non capite nulla anche quando siamo noi a dirvi parole d’amore. Se vi diciamo cose romantiche tipo: Amore, guarda che luna.. voi rispondete: Minchia l’una? Pensavo fossero le undici. Andiamo che mi è scaduto il parcheggio. Ma noi vi amiamo lo stesso. Cosi come siete. Vi amiamo anche quando…vi vantate di aver scritto il vostro nome facendo pipì sulla neve, amiamo i vostri piedi anche se sono armi di distruzione di massa, vi amiamo anche se di notte russate che ci sembra di dormire ai piedi dello Stromboli, vi amiamo anche se per trovarvi per casa basta seguire le tracce come per gli animali servatici, giacca, camicia, canotta, tutto lasciato per terra finchè sul divano non trovi un tizio con la felpa della Sampdoria che gioca alla Playstation, vi amiamo quando per fare un caffè ne spargete un quarto sul tappetino e due quarti sul gas. E poi dite che viene leggero.
Vi amiamo quando avvitate la caffettiera fino allo spasimo che per aprirla dobbiamo chiamare i pompieri, e poi non chiudete i barattoli, appoggiate solo il coperchio sopra cosi appena lo prendi sbadabam cade tutto. Vi amiamo quando sparecchiate la tavola con la tecnica del discobolo, mettendo in frigo la pentola della minestra che poggia su due mandarini. Vi amiamo quando a Natale scavate il panettone con le dita, quando per farvi un caffè sporcate la cucina che neanche 10 Benedette Parodi.. e pure quando per farvi la doccia allagate il bagno e lasciate la malloppa di peli nello scarico, che sembra di stare insieme a un setter irlandese! Vi amiamo quando diciamo voglio un figlio da te e voi rispondete “Magari un cane” e noi vorremmo abbandonare VOI in autostrada non il cane. Vi amiamo quando andate a lavare la macchina e ci chiudete dentro coi finestrini aperti, vi amiamo quando fate quelle battute tipo prima di fidanzarti guarda la madre, perché la figlia diventerà cosi, Voi no. Voi spesso siete pirla fin da subito. Vi amiamo quando mettete nella lavastoviglie i coltelli di punta, che quando noi la svuotiamo ci scarnifichiamo, e quando invece di sostituire il rotolo finito della carta igienica usate il tubetto di cartone grigio come cannocchiale.
E’ per amore vostro che facciamo finta di addormentarci abbracciati anche se dormire sul vostro omero ci dà un po’ la sensazione di appoggiare la mandibola su un ramo secco di castagno, e vi amiamo anche se considerate come dogma assoluto che l’arrosto della mamma è più buono di quello che facciamo noi. Il creatore non ha detto: E la suocera fece l’arrosto fatelo sempre cosi in memoria di me.
Insomma, noi vi amiamo anche quando date il peggio, vi amiamo nella buona ma soprattutto nella schifosa sorte. Vi amiamo perché amiamo l’amore che è un apostrofo rosa tra le parole: E’ irrecuperabile.. ma quasi quasi me lo tengo.
Perchè San valentino è la festa dell’amore, declinato in tutte le sue forme. L’amore delle persone che si amano. Anche delle donne che amano le donne e degli uomini che amano gli uomini. MA CHE CI INTERESSA QUELLO CHE FANNO A LETTO.. L’IMPORTANTE E’ CHE LE PERSONE SI VOGLIANO BENE, SOLO QUESTO CONTA.
Pensa che bello sarebbe vivere in un paese dove tutti i diritti fossero riconosciuti. Ma non solo i diritti dei soldi. Quelli dell’anima. Quelli che mi dicono che posso vegliare la persona che ho amato per anni in un letto d’ospedale senza nessuno che mi cacci via perchè non siamo parenti. E poi vorremmo un san valentino dove nessun uomo per farci i complimenti dicesse che siamo donne con le palle. Dirci che siamo donne con le palle non è un complimento. Non le vogliamo. Abbiamo già le tette. Tra l’altro sono due e sferiche anche quelle. Vogliamo solo rispetto. In Italia in media ogni due o tre giorni un uomo uccide una donna, compagna, figlia, amante, sorella, ex.
Magari in famiglia. Perché non è che la famiglia sia sempre, per forza, quel luogo magico in cui tutto è amore.
La uccide perché la considera una sua proprietà. Perché non concepisce che una donna appartenga a se stessa, sia libera di vivere come vuole lei e persino di innamorarsi di un altro.. E noi che siamo ingenue spesso scambiamo tutto per amore, ma l’amore con la violenza e le botte non c’entrano un tubo. L’amore, con gli schiaffi e i pugni c’entra come la libertà con la prigione. Noi a Torino, che risentiamo della nobiltà reale, diciamo che è come passare dal risotto alla merda.
Un uomo che ci mena non ci ama. Mettiamocelo in testa. Salviamolo nell’hard disk. Vogliamo credere che ci ami? Bene. Allora ci ama MALE. Non è questo l’amore. Un uomo che ci picchia è uno stronzo. Sempre. E dobbiamo capirlo subito. Al primo schiaffo. Perché tanto arriverà anche il secondo, e poi un terzo e un quarto. L’amore rende felici e riempie il cuore, non rompe costole e non lascia lividi sulla faccia. Pensiamo mica di avere sette vite come i gatti? No. Ne abbiamo una sola. Non buttiamola via.

giovedì 14 febbraio 2013

JACQUES PREVERT



Questo amore
Questo amore
Così violento
Così fragile
Così tenero
... Così disperato
Questo amore
Bello come il giorno
E cattivo come il tempo
Quando il tempo è cattivo
Questo amore così vero
Questo amore cosí bello
Così felice
Così gaio
E così beffardo
Tremante di paura come un bambino al buio
E così sicuro di sé
Come un uomo tranquillo nel cuore della notte
Questo amore che impauriva gli altri
Che li faceva parlare
Che li faceva impallidire
Questo amore spiato
Perché noi lo spiavamo
Perseguitato ferito calpestato ucciso negato dimenticato
Perché noi l'abbiamo perseguitato ferito calpestato ucciso negato dimenticato
Questo amore tutto intero
Ancora così vivo
E tutto soleggiato
E' tuo
E' mio
E' stato quel che è stato
Questa cosa sempre nuova
E che non è mai cambiata
Vera come una pianta
Tremante come un uccello
Calda e viva come l'estate
Noi possiamo tutti e due
Andare e ritornare
Noi possiamo dimenticare
E quindi riaddormentarci
Risvegliarci soffrire invecchiare
Addormentarci ancora
Sognare la morte
Svegliarci sorridere e ridere
E ringiovanire
il nostro amore è là
Testardo come un asino
Vivo come il desiderio
Crudele come la memoria
Sciocco come i rimpianti
Tenero come il ricordo
Freddo come il marmo
Bello come il giorno
Fragile come un bambino
Ci guarda sorridendo
E ci parla senza dir nulla
E io tremante l'ascolto
E grido
Grido per te
Grido per me
Ti supplico
Per te per me per tutti coloro che si amano
E che si sono amati
Sì io gli grido
Per te per me e per tutti gli altri
Che non conosco
Fermati là
Là dove sei
Là dove sei stato altre volte
Fermati
Non muoverti
Non andartene
Noi che siamo amati
Noi ti abbiamo dimenticato
Tu non dimenticarci
Non avevamo che te sulla terra
Non lasciarci diventare gelidi
Anche se molto lontano sempre
E non importa dove
Dacci un segno di vita
Molto più tardi ai margini di un bosco
Nella foresta della memoria
Alzati subito
Tendici la mano
E salvaci.

lunedì 11 febbraio 2013

Antonio Tabucchi

 
 
 
 
 
Ho preso il tuo biglietto, sono entrato nel mare
e l’ho depositato sulla superficie dell’acqua.
L’onda l’ha avvolto, ed è scomparso dalla vista.
Oddìo, ho pensato per un momento
con quel batticuore di quando si assiste ad una partenza
(...
le partenze causano sempre un po’ d’ansia,
e tu sai che in me è sempre eccessiva), finirà contro le rocce.
E invece no. Ha preso la direzione giusta,
galleggiando gagliardamente sulla corrente che rinfresca il piccolo golfo.
Ed è scomparso in un attimo. Ho cercato di sventolare l’asciugamano
per dirti ciao, ma tu eri già troppo lontana.
Magari non te ne sei neppure accorta.


 
 

Snoopy

 
 


 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Mahatma Gandhi

 
 
Mantieni i tuoi pensieri positivi
perché i tuoi pensieri diventano parole.
Mantieni le tue parole positive
perché le tue parole diventano i tuoi comportamenti.
Mantieni i tuoi comportamenti positivi
perché i tuoi comportamenti diventano ...le tue abitudini.
Mantieni le tue abitudini positive
perché le tue abitudini diventano i tuoi valori.
Mantieni i tuoi valori positivi
perché i tuoi valori diventano il tuo destino.

mercoledì 30 gennaio 2013

Pierangelo bertoli

http://www.youtube.com/watch?v=HEvXgw4f5AE



Non amo trincerarmi in un sorriso
detesto chi non vince e chi non perde
non credo nelle sacre istituzioni
di gente che ha il potere e se ne serve
giocattoli di carta in mano ai pazzi
puntati su milioni di persone
tu ascolti tutto e cerchi di capirmi
finendo poi per fare confusione
e dici che per te non sono in pace
certo che almeno in questo mi conosci
nell'attimo che brucia la ragione
io butto al fuoco tutte le mie croci
e semino i miei fatti personali
mischiati a tutto quello che è sociale
e vivo con la stessa indipendenza
gli scandali le guerre o la spirale.
Perché son fatto così
e non ci posso far niente
prendimi pure così
come mi accetta la gente
che mi sorride e che mi lascia parlare
però non mi sente.
Mi dici che una regola ci vuole
qualcuno deve pure aver ragione
sarà forse che sono diffidente
ma i capi non son altro che persone
e trattano le masse come capre
tosando e macellando l'eccedenza
sacrificando al fatto personale
le madri i figli i padri e la decenza.
Perché son fatto così
e non ci posso far niente
prendimi pure così
come mi accetta la gente
che mi sorride e che mi lascia parlare
però non mi sente.
Si macchiano dei crimini più bassi
per conservare il posto da sedere
le chiese il parlamento i sindacati
le banche e gli altri centri del potere
gli amici sai gli amici tante volte
mi dicono che sono un piantagrane
che parlo senza un poco di rispetto
che amo più gli oppressi o le puttane.
Ma sono fatto così
e non ci posso far niente
prendimi pure così
come mi accetta la gente
che mi sorride e che mi lascia parlare
però non mi sente,
che mi sorride e che mi lascia parlare
però non mi sente.

Com'è attuale!

martedì 29 gennaio 2013

Le Città Abitate dalle Ombre

Le Città Abitate dalle Ombre
di Concita DeGregorio
da LaRepubblica del 28.01.2013

Basterebbe allungare la mano passando in macchina accanto a via Veneto per sfiorare le camicie appese ad asciugare. Sarebbe sufficiente scendere le scale dei sottopassi vaticani, quelli costruiti per il Giubileo – sì, l’esultanza suprema – per trovare i gradini ingombri di cartoni, bottiglie, pentole ancora piene di cibo annerito sui fornelli da campo. Nel cuore di Roma, città eterna.
Sopra turisti in torpedone e miliardari in limousine, sotto – cinque metri più sotto, appena un po’ di lato – la città delle ombre. Abitata da un popolo che non ha niente, nemmeno un nome. Ci vogliono giorni per identificare i cadaveri carbonizzati. I due morti di ieri erano di origine somala, forse. C’è la testimonianza di due pugliesi, i loro vicini di cartone. «Secondo me gli hanno dato fuoco», dice uno di loro davanti alla telecamere che riprendono in primo piano il cumulo di carbone, pochi metri più indietro le auto che scendono veloci da villa Borghese.
A volte ai senza tetto qualcuno dà fuoco, in effetti. Un passatempo. E’ utile ascoltare la storia dell’uomo venuto dalla Puglia, un ragazzo italiano: era uno di noi, viveva nel mondo di sopra. La povertà lo ha preso alle spalle e l’ha rapito, lo ha portato sotto. Tra avere un lavoro e non avere più posto nel mondo è un attimo. Non importa da dove vieni, che lingua parli, di che colore hai la pelle: nella città delle ombre il destino è uguale per tutti. Puoi restare prigioniero di un cassonetto per abiti usati e morirci dentro, succede ogni settimana, a Padova e a Genova, a Roma, succede dove sei. Sui giornali diventi una breve di cronaca. Qualche volta c’è scritto che sei morto mentre rubavi i vestiti. Rubavi, nel cassonetto.
Nella Cloaca Massima, l’antica fogna all’altezza del Tevere, dormono a decine giovani che di giorno, non tutti ma molti, indossano il loro unico abito e vanno a fare i badanti, i camerieri al nero nei ristoranti e nelle case della città di sopra. Ogni tanto ne muore uno di freddo o di fuoco, ma non ha mai nome. I documenti sono un pericolo, si sa. Meglio così, direbbe quel vecchio politico: un mendicante di meno. Basta alzarsi il bavero e tirare diritto, che i ristoranti sono pieni e la miseria non c’è. Basta non guardare, accendere la tv e vedere cosa fa oggi Corona, basta dimenticarsi che i morti nel sottopasso sono uomini e chiamarli barboni, l’indomani radersi e uscire. Che ci vuole, è un attimo.

 
                                 Le Città Abitate dalle Ombre

di Concita DeGregorio
da LaRepubblica del 28.01.2013

Basterebbe allungare la mano passando in macchina accanto a via Veneto per sf...iorare le camicie appese ad asciugare. Sarebbe sufficiente scendere le scale dei sottopassi vaticani, quelli costruiti per il Giubileo – sì, l’esultanza suprema – per trovare i gradini ingombri di cartoni, bottiglie, pentole ancora piene di cibo annerito sui fornelli da campo. Nel cuore di Roma, città eterna.
Sopra turisti in torpedone e miliardari in limousine, sotto – cinque metri più sotto, appena un po’ di lato – la città delle ombre. Abitata da un popolo che non ha niente, nemmeno un nome. Ci vogliono giorni per identificare i cadaveri carbonizzati. I due morti di ieri erano di origine somala, forse. C’è la testimonianza di due pugliesi, i loro vicini di cartone. «Secondo me gli hanno dato fuoco», dice uno di loro davanti alla telecamere che riprendono in primo piano il cumulo di carbone, pochi metri più indietro le auto che scendono veloci da villa Borghese.
A volte ai senza tetto qualcuno dà fuoco, in effetti. Un passatempo. E’ utile ascoltare la storia dell’uomo venuto dalla Puglia, un ragazzo italiano: era uno di noi, viveva nel mondo di sopra. La povertà lo ha preso alle spalle e l’ha rapito, lo ha portato sotto. Tra avere un lavoro e non avere più posto nel mondo è un attimo. Non importa da dove vieni, che lingua parli, di che colore hai la pelle: nella città delle ombre il destino è uguale per tutti. Puoi restare prigioniero di un cassonetto per abiti usati e morirci dentro, succede ogni settimana, a Padova e a Genova, a Roma, succede dove sei. Sui giornali diventi una breve di cronaca. Qualche volta c’è scritto che sei morto mentre rubavi i vestiti. Rubavi, nel cassonetto.
Nella Cloaca Massima, l’antica fogna all’altezza del Tevere, dormono a decine giovani che di giorno, non tutti ma molti, indossano il loro unico abito e vanno a fare i badanti, i camerieri al nero nei ristoranti e nelle case della città di sopra. Ogni tanto ne muore uno di freddo o di fuoco, ma non ha mai nome. I documenti sono un pericolo, si sa. Meglio così, direbbe quel vecchio politico: un mendicante di meno. Basta alzarsi il bavero e tirare diritto, che i ristoranti sono pieni e la miseria non c’è. Basta non guardare, accendere la tv e vedere cosa fa oggi Corona, basta dimenticarsi che i morti nel sottopasso sono uomini e chiamarli barboni, l’indomani radersi e uscire. Che ci vuole, è un attimo.

sabato 26 gennaio 2013


 
 
La mia rivoluzione
di Fiorella Mannoia

Che cosa evoca oggi la parola rivoluzione? Che cos’è oggi rivoluzionario? Viviamo in una sorta di mondo alla rovescia, dove l’illecito è diventato normale, dove i politici fanno spettacolo e gli attor...i, i cantanti, i comici, si occupano della politica. Dove viene scambiato il diritto per il favore. Dove la cultura è giudicata superflua e dispendiosa, praticamente inutile. Dove chi dovrebbe dare il buon esempio si vanta delle sue malefatte e giudica stupido chi si ostina a credere nella legalità, e lo discredita, lo calunnia, lo annienta. E la parola rivoluzione assume un significato più profondo, che riguarda anche il comportamento di ognuno di noi. Provo a fare un elenco di quello che per me oggi è rivoluzionario:

Rivoluzionario è il coraggio, rivoluzionaria è la sobrietà, l’educazione, la cultura, l’arte, rivoluzionario è il diritto alla scuola, al lavoro, alla salute, rivoluzionario è l’accesso alla conoscenza, rivoluzionario è il rifiuto della volgarità, anche quella dilagante dell’ostentazione del lusso, rivoluzionario è il rifiuto della violenza, anche quella verbale, rivoluzionario è dire a chi cerca di corromperti: “No, grazie”. Rivoluzionario è insegnare ai propri figli il rispetto di tutte le diversità, l’accoglienza, la compassione, la fratellanza, la capacità e la volontà di provare a condividere il dolore degli altri, rivoluzionario è combattere il pregiudizio, rivoluzionaria è la ricerca della bellezza, rivoluzionario è spegnere la televisione e dedicarsi ai propri cari, coltivare delle passioni, continuare a giocare, rivoluzionario è il sorriso, la gentilezza, l’umiltà, il saper ridere anche di noi stessi e delle nostre miserie, rivoluzionaria è la semplicità, il godere di un buon cibo, di un buon vino, rivoluzionario è divertirsi ballando fino alle quattro del mattino senza bisogno di additivi chimici, rivoluzionario è guardarsi allo specchio senza vergognarsi di ciò che vediamo riflesso, rivoluzionario è non sentirsi al centro dell’universo e guardare altro oltre noi stessi, rivoluzionario è fare bene il proprio lavoro qualsiasi esso sia, rivoluzionaria è l’onestà, anche e soprattutto quella intellettuale, rivoluzionaria è l’etica, rivoluzionario è il coraggio delle proprie idee, rivoluzionario è chiedersi sempre che cosa si nasconda dietro le notizie dell’informazione ufficiale, non smettere mai di cercare, ragionare con la propria testa e porsi sempre delle domande, rivoluzionario è l’approfondimento contro la superficialità, rivoluzionario è il giornalismo della “seconda domanda”, rivoluzionario è non piegare la testa di fronte ai potenti, chiunque essi siano. Rivoluzionario è schierarsi sempre dalla parte degli ultimi, chiunque essi siano.

Rivoluzionaria è la curiosità, la libertà di pensiero, rivoluzionaria è la coerenza, la gratitudine, la capacità di chiedere scusa, rivoluzionaria è la dignità, il rispetto, il perdono, rivoluzionaria è l’indignazione per l’ingiustizia ovunque si verifichi e avere il coraggio di gridarla, rivoluzionario è combattere l’avidità che è il più pericoloso dei mali, rivoluzionario è dare un senso alla propria vita rivendicando il diritto alla felicità ma avendo la consapevolezza che questo non passa solo attraverso il denaro. Rivoluzionario è fare ognuno il proprio dovere di cittadino ricercando sempre la verità, che è la più grande delle rivoluzioni.

da Il Fatto Quotidiano


venerdì 4 gennaio 2013

Canzone per Piero




Mio vecchio amico di giorni e pensieri da quanto tempo che ci conosciamo,
venticinque anni son tanti e diciamo un po' retorici che sembra ieri.
Invece io so che è diverso e tu sai quello che il tempo ci ha preso e ci ha dato:
io appena giovane sono invecchiato, tu forse giovane non sei stato mai.
Ma d' illusioni non ne abbiamo avute, o forse si, ma nemmeno ricordo,
tutte parole che si son perdute con la realtà incontrata ogni giorno.
Chi glielo dice a chi è giovane adesso di quante volte si possa sbagliare,
fino al disgusto di ricominciare perchè ogni volta è poi sempre lo stesso.
Eppure il mondo continua e va avanti con noi o senza e ogni cosa si crea
su ciò che muore e ogni nuova idea su vecchie idee e ogni gioia su pianti.
Ma più che triste ora è buffo pensare a tutti i giorni che abbiamo sprecati,
a tutti gli attimi lasciati andare e ai miti belli delle nostre estati.
Dopo l'inverno e l' angoscia in città quei lunghi mesi sdraiati davanti,
liberazione del fiume e dei monti e linfa aspra della nostra età.
Quei giorni spesi a parlare di niente sdraiati al sole inseguendo la vita,
come l' avessimo sempre capita, come qualcosa capito per sempre.
Il mio Leopardi, le tue teologie: "Esiste Dio ?" Le risate più pazze,
le sbornie assurde, le mie fantasie, le mie avventure in città con ragazze.
Poi quell' amore alla fine reale tra le canzoni di moda e le danze:
"E' in gamba sai, legge Edgar Lee Masters. Mi ha detto no, non dovrei mai pensare."
Le sigarette con rabbia fumate, i blue jeans vecchi e le poche lire,
sembrava che non dovesse finire, ma ad ogni autunno finiva l' estate.
Poi tutto è andato e diciamo siam vecchi, ma cosa siamo e che senso ha mai questo
nostro cammino di sogni fra specchi, tu che lavori quand' io vado a letto.
Io dico sempre non voglio capire, ma è come un vizio sottile e più penso
più mi ritrovo questo vuoto immenso e per rimedio soltanto il dormire.
E poi ogni giorno mi torno a svegliare e resto incredulo, non vorrei alzarmi,
ma vivo ancora e son lì ad aspettarmi le mie domande, il mio niente, il mio male...

mercoledì 2 gennaio 2013

Natale 2012

                                               A F F E T T O





                                           

                                         E M O Z I O N I



                          B  U  O  N     A N N O   2 0 1 3