domenica 29 maggio 2011

Studente, blogger, Presidente dell’Associazione Nazionale Enrico Berlinguer

Gentile Presidente del Consiglio dei Ministri Onorevole Silvio Berlusconi,
leggo le agenzie di stampa che riportano la seguente sua dichiarazione, indirizzata a me e a tutti quelli che non la votano: “Non credo che ci sia una persona con la testa sulle spalle che possa votare per il signor De Magistris; uno che vota per il signor del De Magistris vada a casa, si guardi nello specchio e dica sono un uomo o una donna senza cervello.
Non sono residente a Napoli, ma De Magistris l’ho votato due anni fa alle elezioni europee, quindi rientro nella categoria dei “senza cervello“. Ebbene, lo ripeto in questa sede, nel caso non fosse chiaro a lei e ai di lei fanatici che la seguono: Sono orgoglioso di avere 22 anni, aver sempre votato a Sinistra, rifarmi agli ideali della Sinistra, dare il mio voto a chi quegli ideali li rispetta e li porta avanti tutti i giorni.
Evito di abbassarmi al suo infimo livello (dovrei scendere troppo in basso e mi sono sinceramente stancato di inseguirla nei suoi deliri), la informo solamente che il presente “senza cervello” si è diplomato al Liceo Classico G. Parini di Milano con il massimo dei voti con una tesina sulla Questione Morale, arrivando all’esame con una media dei 5 anni pari al 9 e qualcosa; e che attualmente è iscritto all’università e ha la media sopra il 30 (e negli ultimi 4 mesi ha dato 7 esami con la medesima media, anticipando pure quelli del terzo anno, tanto che da ottobre mi dedicherò alla sola tesi e andrò all’estero). E che senza soldi e con tanta passione e buona volontà, ha fondato uno dei 100 siti web più visitati d’Italia, che è dedicato, guardi un po’, ad un comunista, Enrico Berlinguer.
Nulla di paragonabile al curriculum delle Minetti, delle Carfagna, delle Gelmini e di tutta la corte di nani e ballerine che le gira intorno, lo ammetto. E nemmeno mi sono messo al suo servizio, tradendo gli ideali in cui credo, come ha fatto Giuliano Ferrara, anche se 3000 euro per 7 minuti mi avrebbero fatto molto comodo, visto che ho perso mio padre quando di anni ne avevo 14. Forse per questo sono senza cervello. Una cosa però mi è rimasta: la dignità.
E questa, caro Presidente del Consiglio, è una cosa che nemmeno i suoi soldi possono comprare.
Con tutti i dovuti rispetti che devo alla carica che ricopre e con profonda disistima per la sua persona, la saluto con la considerazione che ella si merita.
Pierpaolo Farina
Studente, blogger, Presidente dell’Associazione Nazionale Enrico Berlinguer

Pink Floyd

Da ascoltare!
Shine On You Crazi Diamond

http://www.youtube.com/watch?v=BLKiMbC6s2k&feature=related

sabato 28 maggio 2011

Di sana e robusta costituzione Don Andrea Gallo

Don Andrea Gallo non è solo un sacerdote, è prima di tutto un uomo. La forza che possiede è contagiosa, la sua mente è libera da pregiudizi o classificazioni. Ha fondato e guida la comunità di San Benedetto al Porto di Genova, offrendo asilo a persone in difficoltà. Molte volte l'ho visto e l'ho sentito parlare in televisione e sono rimasta stupita perchè le sue idee sono molto diverse da quelle di un comune sacerdote, perchè ama la gente, ne ascolta i bisogni, sa comprendere senza giudicare, sa aiutare.
L'ultima parte del libro è una "Lettera a Fabrizio De Andrè", e voglio riportarne alcuni passi.
"Caro Faber, canto con te e con tanti ragazzi e ragazze della mia comunità. Quanti Geodie o Michè o Marinella o Bocca di Rosa vivono accanto a me, nella mia città di mare che è anche la tua. Anch'io ogni giorno, come prete, verso il vino e spezzo il pane per chi ha sete e per chi ha fame.
Tu, Faber, mi hai insegnato a distribuirlo, non solo fra le mura del Tempio ma per le strade, nei vicoli più oscuri, nell'esclusione, nell'emarginazione, nella carcerazione.
E ho scoperto con te, camminando per la via del Campo, che dai diamanti non nasce niente e dal letame nascono i fiori.......Abbiamo riscoperto la tua antologia dell'amore, una profoda inquietudine dello spirito che coincide con l'aspirazione alla libertà..... Già nel '71 ascoltavamo il tuo album - Tutti morimmo a stento- e ci lasciò una traccia indelebile. In quel tuo racconto crudo e dolente, che era ed è la nostra vita quotidiana nella comunità, abbiamo intravisto una tenue parola di speranza perchè, come dicevi nella canzone, dalla solitudine può sorgere l'amore come a ogni inverno segue una primavera....Ti sentiamo così vicino e così stretto a noi quando, con i tuoi versi, dici -E se credete ora che tutto sia come prima, perchè avete votato la sicurezza e la disciplina, convinti di allontanare la paura di cambiare, verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte.Per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti -....

http://www.youtube.com/watch?v=KWQWqyuX5LY

giovedì 19 maggio 2011

Divine Comedy Divina commedia inferno 1° canto

http://www.youtube.com/watch?v=zvCCnethxOs

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!
Tant' è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.
Io non so ben ridir com' i' v'intrai,
tant' era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.
Ma poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto,
là dove terminava quella valle
che m'avea di paura il cor compunto,
guardai in alto e vidi le sue spalle
vestite già de' raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle.
Allor fu la paura un poco queta,
che nel lago del cor m'era durata
la notte ch'i' passai con tanta pieta.
E come quei che con lena affannata,
uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a l'acqua perigliosa e guata,
così l'animo mio, ch'ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva.
Poi ch'èi posato un poco il corpo lasso,
ripresi via per la piaggia diserta,
sì che 'l piè fermo sempre era 'l più basso.
Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta,
una lonza leggiera e presta molto,
che di pel macolato era coverta;
e non mi si partia dinanzi al volto,
anzi 'mpediva tanto il mio cammino,
ch'i' fui per ritornar più volte vòlto.
Temp' era dal principio del mattino,
e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle
ch'eran con lui quando l'amor divino
mosse di prima quelle cose belle;
sì ch'a bene sperar m'era cagione
di quella fiera a la gaetta pelle
l'ora del tempo e la dolce stagione;
ma non sì che paura non mi desse
la vista che m'apparve d'un leone.
Questi parea che contra me venisse
con la test' alta e con rabbiosa fame,
sì che parea che l'aere ne tremesse.
Ed una lupa, che di tutte brame
sembiava carca ne la sua magrezza,
e molte genti fé già viver grame,
questa mi porse tanto di gravezza
con la paura ch'uscia di sua vista,
ch'io perdei la speranza de l'altezza.
E qual è quei che volontieri acquista,
e giugne 'l tempo che perder lo face,
che 'n tutti suoi pensier piange e s'attrista;
tal mi fece la bestia sanza pace,
che, venendomi 'ncontro, a poco a poco
mi ripigneva là dove 'l sol tace.
Mentre ch'i' rovinava in basso loco,
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco.
Quando vidi costui nel gran diserto,
«Miserere di me», gridai a lui,
«qual che tu sii, od ombra od omo certo!».
Rispuosemi: «Non omo, omo già fui,
e li parenti miei furon lombardi,
mantoani per patrïa ambedui.
Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
e vissi a Roma sotto 'l buono Augusto
nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.
Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d'Anchise che venne di Troia,
poi che 'l superbo Ilïón fu combusto.
Ma tu perché ritorni a tanta noia?
perché non sali il dilettoso monte
ch'è principio e cagion di tutta gioia?».
«Or se' tu quel Virgilio e quella fonte
che spandi di parlar sì largo fiume?»,
rispuos' io lui con vergognosa fronte.
«O de li altri poeti onore e lume,
vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore
che m'ha fatto cercar lo tuo volume.
Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore,
tu se' solo colui da cu' io tolsi
lo bello stilo che m'ha fatto onore.
Vedi la bestia per cu' io mi volsi;
aiutami da lei, famoso saggio,
ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi».
«A te convien tenere altro vïaggio»,
rispuose, poi che lagrimar mi vide,
«se vuo' campar d'esto loco selvaggio;
ché questa bestia, per la qual tu gride,
non lascia altrui passar per la sua via,
ma tanto lo 'mpedisce che l'uccide;
e ha natura sì malvagia e ria,
che mai non empie la bramosa voglia,
e dopo 'l pasto ha più fame che pria.
Molti son li animali a cui s'ammoglia,
e più saranno ancora, infin che 'l veltro
verrà, che la farà morir con doglia.
Questi non ciberà terra né peltro,
ma sapïenza, amore e virtute,
e sua nazion sarà tra feltro e feltro.
Di quella umile Italia fia salute
per cui morì la vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute.
Questi la caccerà per ogne villa,
fin che l'avrà rimessa ne lo 'nferno,
là onde 'nvidia prima dipartilla.
Ond' io per lo tuo me' penso e discerno
che tu mi segui, e io sarò tua guida,
e trarrotti di qui per loco etterno;
ove udirai le disperate strida,
vedrai li antichi spiriti dolenti,
ch'a la seconda morte ciascun grida;
e vederai color che son contenti
nel foco, perché speran di venire
quando che sia a le beate genti.
A le quai poi se tu vorrai salire,
anima fia a ciò più di me degna:
con lei ti lascerò nel mio partire;
ché quello imperador che là sù regna,
perch' i' fu' ribellante a la sua legge,
non vuol che 'n sua città per me si vegna.
In tutte parti impera e quivi regge;
quivi è la sua città e l'alto seggio:
oh felice colui cu' ivi elegge!».
E io a lui: «Poeta, io ti richeggio
per quello Dio che tu non conoscesti,
a ciò ch'io fugga questo male e peggio,
che tu mi meni là dov' or dicesti,
sì ch'io veggia la porta di san Pietro
e color cui tu fai cotanto mesti».
Allor si mosse, e io li tenni dietro.

Sogna, ragazzo, sogna

Sogna, ragazzo sogna
di Roberto Vecchioni

E ti diranno parole
rosse come il sangue, nere come la notte
ma non è vero, ragazzo
che la ragione sta sempre col più forte;
io conosco poeti
che spostano i fiumi con il pensiero
e naviganti infiniti
che sanno parlare con il cielo.

Chiudi gli occhi, ragazzo
e credi solo a quel che vedi dentro
stringi i pugni, ragazzo,
non lasciargliela vinta neanche un momento
copri l’amore, ragazzo,
ma non nasconderlo sotto il mantello,
a volte passa qualcuno,
a volte c’è qualcuno che deve vederlo.

Sogna, ragazzo, sogna,
quando sale il vento nelle vie del cuore,
quando un uomo vive per le sue parole
o non vive più.
Sogna, ragazzo, sogna,
non lasciarlo solo  contro questo mondo,
non lasciarlo andare sogna fino in fondo,
fallo pure tu.
Sogna, ragazzo, sogna,
quando cade il vento ma non è finita,
quando muore un uomo per la stessa vita
che sognavi tu.
Sogna, ragazzo, sogna,
non cambiare un verso della tua canzone,
non lasciare un treno fermo alla stazione,
non fermarti tu.

Lasciali dire che al mondo
Quelli come te perderanno sempre,
perché hai già vinto, lo giuro,
e non ti possono fare più niente.
Passa ogni tanto la mano
su un  viso di una donna, passaci le dita;
nessun regno è più grande
di questa piccola cosa che è la vita.

E la vita è così forte
che attraversa i muri per farsi vedere;
la vita è così vera
che sembra impossibile doverla lasciare;
la vita è così grande
che “quando sarai sul punto di morire,
pianterai un ulivo,
convinto ancora di vederlo fiorire”.

Sogna, ragazzo, sogna,
quando lei si volta, quando lei non torna,
quando il solo passo che fermava il cuore
non lo senti più.
Sogna, ragazzo, sogna,
passeranno i giorni, passerà l’amore,
passeran le notti, passerà il dolore
sarai sempre tu.
Sogna, ragazzo, sogna,
piccolo ragazzo nella mia memoria
tante volte, tanti dentro questa storia:
non vi conto più.
Sogna, ragazzo, sogna,
ti ho lasciato un foglio sulla scrivania,
manca solo un verso a quella poesia,
puoi finirla tu…

http://www.youtube.com/watch?v=iRI9CA525Tk&feature=fvst

sabato 14 maggio 2011

L'indifferenza

“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
 L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza.
 Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente.
Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
 Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
 Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.

martedì 10 maggio 2011

Fabrizio De Andrè: ho cominciato a conoscerlo tanto tempo fa, penso da quando le sue prime canzoni iniziavano a sentirsi. I suoi testi ci dicevano di guardare fuori di noi per accorgerci del mondo reale, pieno di  problemi non risolti e spesso ignorati perchè non portatori di alcuna utilità per "chi conta", con una sguardo rivolto proprio a chi invece aveva tanto bisogno di cambiamenti ed equità sociale.
Anche se non era facile riuscire ad ascoltarlo o vederlo alla televisione, si era sempre lì in attesa che scrivesse una nuova canzone o di leggere un articolo su di lui.
Credo proprio che rivolgerò anch'io il mio sguardo intorno per descrivere quello che più mi colpisce e mi coinvolge, che mi commuove o mi infastidisce.