sabato 26 novembre 2011

  
 
Non si cura di chiedersi se abbiate torto o ragione; non gli interessa se abbiat...e fortuna o no, se siete ricco o povero, istruito o ignorante, santo o peccatore. Siete il suo compagno e ciò gli basta. Egli sarà accanto a voi per confortarvi, proteggervi e dare, se occorre, per voi, la sua vita. Egli vi sarà fedele
nella fortuna come nella miseria. E' il cane!
 

martedì 22 novembre 2011

Il leopardo di Jo Nesbo

Salutato fin dal suo apparire in Norvegia come il capolavoro di un autentico maestro del thriller" Il leopardo"  ha scalato le classifiche di tutto il mondo. In Gran Bretagna è stato il secondo romanzo di un autore non di lingua inglese a raggiungere il primo posto assoluto tra i best seller. Era accaduto solo con " Uomini che odiano le donne" di Stieg Larsson. Le prime vittime sono due donne, ritrovate con ventiquattro ferite identiche in bocca, morte soffocate nel loro sangue, dopo una agonia atroce. Omicidi studiati, efferati, che seguono un rituale. La polizia criminale di Oslo sa di avere un solo uomo che può risolvere il caso. Harry Hole, alcolista, uomo rude e solitario, inviso a molti. Ma Hole si è rintanato a Hong Kong, tra le fumerie d'oppio, per lavare via i ricordi. Sa fin troppo bene che, per risolvere l'ultimo caso, ha messo in pericolo di vita l'unica donna che ha mai davvero amato. E solo quando lo informano che il padre è moribondo in ospedale, Harry Hole decide di tornare a Oslo. Tra le vittime non c'è in apparenza alcun legame, ma Hole subito ne trova uno. Tutte quante hanno trascorso una notte in un isolato rifugio di montagna. E qualcuno, qualcuno capace di un odio lucido e selvaggio, adesso sta braccando gli ospiti di quella notte, uno per uno...
Da leggere!

mercoledì 16 novembre 2011

Pablo Neruda


NON LAMENTARTI

Non incolpare nessuno,
non lamentarti mai di nessuno, di niente,...
perché in fondo
tu hai fatto quello che volevi nella vita.

Accetta la difficoltà di costruire te stesso
ed il valore di cominciare a correggerti.
Il trionfo del vero uomo
proviene delle ceneri del suo errore.

Non lamentarti mai della tua solitudine o della tua sorte,
affrontala con valore e accettala.
In un modo o in un altro
è il risultato delle tue azioni e la prova
che Tu sempre devi vincere.

Non amareggiarti del tuo fallimento
né attribuirlo agli altri.

Accettati adesso
o continuerai a giustificarti come un bimbo.
Ricordati che qualsiasi momento è buono per cominciare
e che nessuno è così terribile per cedere.

Non dimenticare
che la causa del tuo presente è il tuo passato,
come la causa del tuo futuro sarà il tuo presente.

Apprendi dagli audaci,
dai forti
da chi non accetta compromessi,
da chi vivrà malgrado tutto
pensa meno ai tuoi problemi
e più al tuo lavoro.

I tuoi problemi, senza alimentarli, moriranno.
Impara a nascere dal dolore
e ad essere più grande, che è
il più grande degli ostacoli.

Guarda te stesso allo specchio
e sarai libero e forte
e finirai di essere una marionetta delle circostanze,
perché tu stesso sei il tuo destino.

Alzati e guarda il sole nelle mattine
e respira la luce dell'alba.
Tu sei la parte della forza della tua vita.
Adesso svegliati, combatti, cammina,
deciditi e trionferai nella vita;
Non pensare mai al destino,
perché il destino
è il pretesto dei falliti.

giovedì 3 novembre 2011

Roberto Vecchioni Mi porterò

Il nuovo singolo di Roberto Vecchioni,
estratto dal suo ultimo album "Chiamami ancora amore",

Tu non credere che non ci pensi mai,
se dicessi il contrario ti mentirei,
nello specchiomi inchioda il ritratto di Dorian Gray:
quando i giorni passati s'innebbiano,
ed il tempo si conta per attimi,
caccio via con la mano dagli occhi la polvere;
e mi prende quell'ansia dei marinai,
quando il vento e la vela tradiscono,
ma paura di perdermi non ne ho e dove andrò:
mi porterò,
porterò via con me ogni bacio che mi hai dato,
che mi lasciava senza fiato;
mi porterò,
porterò dietro i figli come una ferita
innamorati della vita.
Vi porterò
e vi terrò
dove sarò
o non sarò.
Per non dire delle mani che mi tremano,
dei pensieri che li penso e poi mi annoiano,
questo tempo d'amare non chiedo quanto durerà;
non lo so se è meglio vivere che scrivere,
so che scrivo perchè forse non so vivere,
per conoscere l'oscurità prima che faccia buio;
tu non credere ce al buio non ci pensi mai,
ma mi dura solo un attimo e svanisce sai,
e paura di perderti non ne ho e dove andrò.
Mi porterò
tutti i poeti che hanno pianto per amore
se ci staranno nel mio cuore;
mi porterò
il soldatino che non rimaneva in piedi
e che è il più bello se ci credi;
mi porterò
tutti i cavalli che hanno perso per un niente
e sempre primi nella mente;
li porterò.
Mi porterò
quando aspettavo il tuo sorriso come un dono
e far l'amore era un perdono,
mi porterò
quando eran piccoli i ragazzi e noi eravamo
giovani e bellicome siamo.
Ti porterò
e ti terrò
dove sarò
o non sarò.
Ti porterò.

http://www.youtube.com/watch?v=CeT03JYdpmw

venerdì 30 settembre 2011

Francesco Guccini

Eskimo

" Questa domenica in Settembre non sarebbe pesata così,
l' estate finiva più "nature" vent' anni fa o giù di lì...
Con l' incoscienza dentro al basso ventre e alcuni audaci, in tasca "l'Unità",
la paghi tutta, e a prezzi d' inflazione, quella che chiaman la maturità...

Ma tu non sei cambiata di molto anche se adesso è al vento quello che
io per vederlo ci ho impiegato tanto filosofando pure sui perchè,
ma tu non sei cambiata di tanto e se cos' è un orgasmo ora lo sai
potrai capire i miei vent' anni allora, i quasi cento adesso capirai...

Portavo allora un eskimo innocente dettato solo dalla povertà,
non era la rivolta permanente: diciamo che non c' era e tanto fa.
Portavo una coscienza immacolata che tu tendevi a uccidere, però
inutilmente ti ci sei provata con foto di famiglia o paletò...

E quanto son cambiato da allora e l'eskimo che conoscevi tu
lo porta addosso mio fratello ancora e tu lo porteresti e non puoi più,
bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà:
tu giri adesso con le tette al vento, io ci giravo già vent' anni fa!

Ricordi fui con te a Santa Lucia, al portico dei Servi per Natale,
credevo che Bologna fosse mia: ballammo insieme all' anno o a Carnevale.
Lasciammo allora tutti e due un qualcuno che non ne fece un dramma o non lo so,
ma con i miei maglioni ero a disagio e mi pesava quel tuo paletò...

Ma avevo la rivolta fra le dita, dei soldi in tasca niente e tu lo sai
e mi pagavi il cinema stupita e non ti era toccato farlo mai!
Perchè mi amavi non l' ho mai capito così diverso da quei tuoi cliché,
perchè fra i tanti, bella, che hai colpito ti sei gettata addosso proprio a me...

Infatti i fiori della prima volta non c' erano già più nel sessantotto,
scoppiava finalmente la rivolta oppure in qualche modo mi ero rotto,
tu li aspettavi ancora, ma io già urlavo che Dio era morto, a monte, ma però
contro il sistema anch' io mi ribellavo cioè, sognando Dylan e i provos...

E Gianni, ritornato da Londra, a lungo ci parlò dell' LSD,
tenne una quasi conferenza colta sul suo viaggio di nozze stile freak
e noi non l' avevamo mai fatto e noi che non l' avremmo fatto mai,
quell' erba ci cresceva tutt' attorno, per noi crescevan solo i nostri guai...

Forse ci consolava far l' amore, ma precari in quel senso si era già
un buco da un amico, un letto a ore su cui passava tutta la città.
L'amore fatto alla "boia d' un Giuda" e al freddo in quella stanza di altri e spoglia:
vederti o non vederti tutta nuda era un fatto di clima e non di voglia!

E adesso che potremmo anche farlo e adesso che problemi non ne ho,
che nostalgia per quelli contro un muro o dentro a un cine o là dove si può...
E adesso che sappiam quasi tutto e adesso che problemi non ne hai,
per nostalgia, lo rifaremmo in piedi scordando la moquette stile e l'Hi-Fi...

Diciamolo per dire, ma davvero si ride per non piangere perchè
se penso a quella che eri, a quel che ero, che compassione che ho per me e per te.
Eppure a volte non mi spiacerebbe essere quelli di quei tempi là,
sarà per aver quindici anni in meno o avere tutto per possibilità...

Perchè a vent' anni è tutto ancora intero, perchè a vent' anni è tutto chi lo sa,
a vent'anni si è stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell' età,
oppure allora si era solo noi non c' entra o meno quella gioventù:
di discussioni, caroselli, eroi quel ch'è rimasto dimmelo un po' tu...

E questa domenica in Settembre se ne sta lentamente per finire
come le tante via, distrattamente, a cercare di fare o di capire.
Forse lo stan pensando anche gli amici, gli andati, i rassegnati, i soddisfatti,
giocando a dire che si era più felici, pensando a chi s' è perso o no a quei party...

Ed io che ho sempre un eskimo addosso uguale a quello che ricorderai,
io, come sempre, faccio quel che posso, domani poi ci penserò se mai
ed io ti canterò questa canzone uguale a tante che già ti cantai:
ignorala come hai ignorato le altre e poi saran le ultime oramai..."

http://www.youtube.com/watch?v=_YDKxJcgPEE&feature=share

giovedì 29 settembre 2011

Guccini Una canzone

La canzone è una penna e un foglio
così fragili fra queste dita,
è quel che non è, è l'erba voglio
ma può essere complessa come la vita.
La canzone è una vaga farfalla
che vola via nell'aria leggera,
una macchia azzurra, una rosa gialla,
un respiro di vento la sera,
una lucciola accesa in un prato,
un sospiro fatto di niente
ma qualche volta se ti ha afferrato
ti rimane per sempre in mente
e la scrive gente quasi normale
ma con l'anima come un bambino
che ogni tanto si mette le ali
e con le parole gioca a rimpiattino.

La canzone è una stella filante
che qualche volta diventa cometa
una meteora di fuoco bruciante
però impalpabile come la seta.
La canzone può aprirti il cuore
con la ragione o col sentimento
fatta di pane, vino, sudore
lunga una vita, lunga un momento.
Si può cantare a voce sguaiata
quando sei in branco, per allegria
o la sussurri appena accennata
se ti circonda la malinconia
e ti ricorda quel canto muto
la donna che ha fatto innamorare
le vite che tu non hai vissuto
e quella che tu vuoi dimenticare.

La canzone è una scatola magica
spesso riempita di cose futili
ma se la intessi d'ironia tragica
ti spazza via i ritornelli inutili;
è un manifesto che puoi riempire
con cose e facce da raccontare
esili vite da rivestire
e storie minime da ripagare
fatta con sette note essenziali
e quattro accordi cuciti in croce
sopra chitarre più che normali
ed una voce che non è voce
ma con carambola lessicale
può essere un prisma di rifrazione
cristallo e pietra filosofale
svettante in aria come un falcone.

Perché può nascere da un male oscuro
che è difficile diagnosticare
fra il passato appesa e il futuro,
lì presente e pronta a scappare
e la canzone diventa un sasso
lama, martello, una polveriera
che a volte morde e colpisce basso
e a volte sventola come bandiera.
La urli allora un giorno di rabbia
la getti in faccia a chi non ti piace
un grimaldello che apre ogni gabbia
pronta ad irridere chi canta e tace.
Però alla fine è fatta di fumo
veste la stoffa delle illusioni,
nebbie, ricordi, pena, profumo:
son tutto questo le mie canzoni.

http://www.youtube.com/watch?v=udDsggWFQGY

sabato 30 luglio 2011

Orhan Pamuk

Orhan Pamuk è uno dei miei scrittori preferiti. Il primo libro che letto è stato "Il mio nome è rosso" e da allora sono andata avanti nella sua conoscenza. Ha la capacità di portarti insieme a lui, nei luoghi che descrive e nelle situazioni che crea. Quando inizio un suo libro vengo letteralmente coinvolta, non lo lascio finchè non arrivo all'ultima pagina. Per me, "Instambul" è un capolavoro, di una bellezza unica. Ora sto leggendo "Il signor Cevdet e i suoi figli" e ...la passione continua!

sabato 25 giugno 2011

Jacques Brel

Conosco delle barche
 che restano nel porto per paura
 che le correnti le trascinino via con troppa violenza.

Conosco delle barche che arrugginiscono in porto
per non aver mai rischiato una vela fuori.

Conosco delle barche che si dimenticano di partire
hanno paura del mare a furia di invecchiare
e le onde non le hanno mai portate altrove,
il loro viaggio è finito ancora prima di iniziare.

Conosco delle barche talmente incatenate
che hanno disimparato come liberarsi.

Conosco delle barche che restano ad ondeggiare
per essere veramente sicure di non capovolgersi.

Conosco delle barche che vanno in gruppo
ad affrontare il vento forte al di là della paura.

Conosco delle barche che si graffiano un po’
sulle rotte dell’oceano ove le porta il loro gioco.

Conosco delle barche
che non hanno mai smesso di uscire una volta ancora,
ogni giorno della loro vita
e che non hanno paura a volte di lanciarsi
fianco a fianco in avanti a rischio di affondare.

Conosco delle barche
che tornano in porto lacerate dappertutto,
ma più coraggiose e più forti.

Conosco delle barche straboccanti di sole
perché hanno condiviso anni meravigliosi.

Conosco delle barche
che tornano sempre quando hanno navigato.
Fino al loro ultimo giorno,
e sono pronte a spiegare le loro ali di giganti
perché hanno un cuore a misura di oceano.

mercoledì 8 giugno 2011

Fabrizio De Andrè Un malato di cuore Antologia di Spoon River



√ TESTO ORIGINALE DI "UN MALATO DI CUORE        

Io non potevo correre né giocare
quand'ero ragazzo.
Quando fui uomo, potei solo sorseggiare alla coppa,
non bere
perché la scarlattina mi aveva lasciato il cuore malato.
Eppure giaccio qui
blandito da un segreto che solo Mary conosce:
c'è un giardino di acacie,
di catalpe e di pergole addolcite da viti
là, in quel pomeriggio di giugno
al fianco di Mary
mentre la baciavo con l'anima sulle labbra,
l'anima d'improvviso mi fuggì.

[Traduzione di Fernanda Pivano]

http://www.youtube.com/watch?v=R4sqEWrn0DY

domenica 5 giugno 2011

Il tuo sorriso


                                                      Toglimi il pane, se vuoi,
                                                       toglimi l’aria, ma
                                                       non togliermi il tuo sorriso.

                                                       Non togliermi la rosa,
                                                       la lancia che sgrani,
                                                       l’acqua che d’improvviso
                                                       scoppia nella tua gioia,
                                                       la repentina onda
                                                       d’argento che ti nasce.

                                                       Dura è la mia lotta e torno
                                                       con gli occhi stanchi,
                                                       a volte, d’aver visto
                                                       la terra che non cambia,
                                                       ma entrando il tuo sorriso
                                                       sale al cielo cercandomi
                                                       ed apre per me tutte
                                                       le porte della vita.

                                                       Amor mio, nell’ora
                                                       più oscura sgrana
                                                       il tuo sorriso, e se d’improvviso
                                                       vedi che il mio sangue macchia
                                                       le pietre della strada,
                                                       ridi, perché il tuo riso
                                                       sarà per le mie mani
                                                       come una spada fresca.

                                                       Vicino al mare, d’autunno,
                                                       il tuo riso deve innalzare
                                                       la sua cascata di spuma,
                                                       e in primavera, amore,
                                                       voglio il tuo riso come
                                                       il fiore che attendevo,
                                                       il fiore azzurro, la rosa
                                                       della mia patria sonora.

                                                       Riditela della notte,
                                                       del giorno, della luna,
                                                       riditela delle strade
                                                       contorte dell’isola,
                                                       riditela di questo rozzo
                                                       ragazzo che ti ama,
                                                       ma quando apro gli occhi
                                                       e quando li richiudo,
                                                       quando i miei passi vanno,
                                                       quando tornano i miei passi,
                                                       negami il pane, l’aria,
                                                       la luce, la primavera,
                                                       ma il tuo sorriso mai,
                                                       perché io ne morrei.

                                                                               Pablo Neruda

sabato 4 giugno 2011

La storia della matita - Paulo Coelho

Il bambino guardava la nonna scrivere una lettera.
Ad un certo punto, chiese: "Stai scrivendo una storia su di noi? E' per caso una storia su di me?".
La nonna smise di scrivere, sorrise e disse al nipote: "In effetti, sto scrivendo su di te. Tuttavia, più importante delle parole, è la matita che sto usando. Mi piacerebbe che tu fossi come lei, quando sarai grande."
Il bimbo osservò la matita, incuriosito e non vide niente di speciale.
"Ma è identica a tutte le matite che ho visto in vita mia!".
"Tutto dipende dal modo in cui guardi le cose. Ci sono 5 qualità in essa che, se tu riuscirai a mantenere, faranno sempre di te un uomo in pace con il mondo.
Prima qualità: tu puoi fare grandi cose, ma non devi mai dimenticare che esiste una mano che guida i tuoi passi: questa mano noi la chiamiamo Dio e Lui ti dovrà sempre indirizzare verso la Sua volontà.
Seconda qualità: di quando in quando io devo interrompere ciò che sto scrivendo ed usare il temperino. Questo fa sì che la matita soffra un poco, ma alla fine essa sarà più affilata. Pertanto, sappi sopportare un po' di dolore, perché ciò ti renderà una persona migliore.
Terza qualità: la matita ci permette sempre d'usare una gomma per cancellare gli sbagli. Capisci che correggere qualcosa che abbiamo fatto non è necessariamente un male, ma qualcosa di fondamentale per mantenerci sulla retta via.
Quarta qualità: ciò che è davvero importante nella matita non è il legno o la forma esteriore, ma la grafite che è all'interno. Dunque fai sempre attenzione a quello che succede dentro di te.
Infine la quinta qualità della matita: lascia sempre un segno. Ugualmente, sappi che tutto ciò che farai nella vita lascerà tracce e cerca d'essere conscio d'ogni singola azione.
Paulo Coelho

domenica 29 maggio 2011

Studente, blogger, Presidente dell’Associazione Nazionale Enrico Berlinguer

Gentile Presidente del Consiglio dei Ministri Onorevole Silvio Berlusconi,
leggo le agenzie di stampa che riportano la seguente sua dichiarazione, indirizzata a me e a tutti quelli che non la votano: “Non credo che ci sia una persona con la testa sulle spalle che possa votare per il signor De Magistris; uno che vota per il signor del De Magistris vada a casa, si guardi nello specchio e dica sono un uomo o una donna senza cervello.
Non sono residente a Napoli, ma De Magistris l’ho votato due anni fa alle elezioni europee, quindi rientro nella categoria dei “senza cervello“. Ebbene, lo ripeto in questa sede, nel caso non fosse chiaro a lei e ai di lei fanatici che la seguono: Sono orgoglioso di avere 22 anni, aver sempre votato a Sinistra, rifarmi agli ideali della Sinistra, dare il mio voto a chi quegli ideali li rispetta e li porta avanti tutti i giorni.
Evito di abbassarmi al suo infimo livello (dovrei scendere troppo in basso e mi sono sinceramente stancato di inseguirla nei suoi deliri), la informo solamente che il presente “senza cervello” si è diplomato al Liceo Classico G. Parini di Milano con il massimo dei voti con una tesina sulla Questione Morale, arrivando all’esame con una media dei 5 anni pari al 9 e qualcosa; e che attualmente è iscritto all’università e ha la media sopra il 30 (e negli ultimi 4 mesi ha dato 7 esami con la medesima media, anticipando pure quelli del terzo anno, tanto che da ottobre mi dedicherò alla sola tesi e andrò all’estero). E che senza soldi e con tanta passione e buona volontà, ha fondato uno dei 100 siti web più visitati d’Italia, che è dedicato, guardi un po’, ad un comunista, Enrico Berlinguer.
Nulla di paragonabile al curriculum delle Minetti, delle Carfagna, delle Gelmini e di tutta la corte di nani e ballerine che le gira intorno, lo ammetto. E nemmeno mi sono messo al suo servizio, tradendo gli ideali in cui credo, come ha fatto Giuliano Ferrara, anche se 3000 euro per 7 minuti mi avrebbero fatto molto comodo, visto che ho perso mio padre quando di anni ne avevo 14. Forse per questo sono senza cervello. Una cosa però mi è rimasta: la dignità.
E questa, caro Presidente del Consiglio, è una cosa che nemmeno i suoi soldi possono comprare.
Con tutti i dovuti rispetti che devo alla carica che ricopre e con profonda disistima per la sua persona, la saluto con la considerazione che ella si merita.
Pierpaolo Farina
Studente, blogger, Presidente dell’Associazione Nazionale Enrico Berlinguer

Pink Floyd

Da ascoltare!
Shine On You Crazi Diamond

http://www.youtube.com/watch?v=BLKiMbC6s2k&feature=related

sabato 28 maggio 2011

Di sana e robusta costituzione Don Andrea Gallo

Don Andrea Gallo non è solo un sacerdote, è prima di tutto un uomo. La forza che possiede è contagiosa, la sua mente è libera da pregiudizi o classificazioni. Ha fondato e guida la comunità di San Benedetto al Porto di Genova, offrendo asilo a persone in difficoltà. Molte volte l'ho visto e l'ho sentito parlare in televisione e sono rimasta stupita perchè le sue idee sono molto diverse da quelle di un comune sacerdote, perchè ama la gente, ne ascolta i bisogni, sa comprendere senza giudicare, sa aiutare.
L'ultima parte del libro è una "Lettera a Fabrizio De Andrè", e voglio riportarne alcuni passi.
"Caro Faber, canto con te e con tanti ragazzi e ragazze della mia comunità. Quanti Geodie o Michè o Marinella o Bocca di Rosa vivono accanto a me, nella mia città di mare che è anche la tua. Anch'io ogni giorno, come prete, verso il vino e spezzo il pane per chi ha sete e per chi ha fame.
Tu, Faber, mi hai insegnato a distribuirlo, non solo fra le mura del Tempio ma per le strade, nei vicoli più oscuri, nell'esclusione, nell'emarginazione, nella carcerazione.
E ho scoperto con te, camminando per la via del Campo, che dai diamanti non nasce niente e dal letame nascono i fiori.......Abbiamo riscoperto la tua antologia dell'amore, una profoda inquietudine dello spirito che coincide con l'aspirazione alla libertà..... Già nel '71 ascoltavamo il tuo album - Tutti morimmo a stento- e ci lasciò una traccia indelebile. In quel tuo racconto crudo e dolente, che era ed è la nostra vita quotidiana nella comunità, abbiamo intravisto una tenue parola di speranza perchè, come dicevi nella canzone, dalla solitudine può sorgere l'amore come a ogni inverno segue una primavera....Ti sentiamo così vicino e così stretto a noi quando, con i tuoi versi, dici -E se credete ora che tutto sia come prima, perchè avete votato la sicurezza e la disciplina, convinti di allontanare la paura di cambiare, verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte.Per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti -....

http://www.youtube.com/watch?v=KWQWqyuX5LY

giovedì 19 maggio 2011

Divine Comedy Divina commedia inferno 1° canto

http://www.youtube.com/watch?v=zvCCnethxOs

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!
Tant' è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.
Io non so ben ridir com' i' v'intrai,
tant' era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.
Ma poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto,
là dove terminava quella valle
che m'avea di paura il cor compunto,
guardai in alto e vidi le sue spalle
vestite già de' raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle.
Allor fu la paura un poco queta,
che nel lago del cor m'era durata
la notte ch'i' passai con tanta pieta.
E come quei che con lena affannata,
uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a l'acqua perigliosa e guata,
così l'animo mio, ch'ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva.
Poi ch'èi posato un poco il corpo lasso,
ripresi via per la piaggia diserta,
sì che 'l piè fermo sempre era 'l più basso.
Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta,
una lonza leggiera e presta molto,
che di pel macolato era coverta;
e non mi si partia dinanzi al volto,
anzi 'mpediva tanto il mio cammino,
ch'i' fui per ritornar più volte vòlto.
Temp' era dal principio del mattino,
e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle
ch'eran con lui quando l'amor divino
mosse di prima quelle cose belle;
sì ch'a bene sperar m'era cagione
di quella fiera a la gaetta pelle
l'ora del tempo e la dolce stagione;
ma non sì che paura non mi desse
la vista che m'apparve d'un leone.
Questi parea che contra me venisse
con la test' alta e con rabbiosa fame,
sì che parea che l'aere ne tremesse.
Ed una lupa, che di tutte brame
sembiava carca ne la sua magrezza,
e molte genti fé già viver grame,
questa mi porse tanto di gravezza
con la paura ch'uscia di sua vista,
ch'io perdei la speranza de l'altezza.
E qual è quei che volontieri acquista,
e giugne 'l tempo che perder lo face,
che 'n tutti suoi pensier piange e s'attrista;
tal mi fece la bestia sanza pace,
che, venendomi 'ncontro, a poco a poco
mi ripigneva là dove 'l sol tace.
Mentre ch'i' rovinava in basso loco,
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco.
Quando vidi costui nel gran diserto,
«Miserere di me», gridai a lui,
«qual che tu sii, od ombra od omo certo!».
Rispuosemi: «Non omo, omo già fui,
e li parenti miei furon lombardi,
mantoani per patrïa ambedui.
Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
e vissi a Roma sotto 'l buono Augusto
nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.
Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d'Anchise che venne di Troia,
poi che 'l superbo Ilïón fu combusto.
Ma tu perché ritorni a tanta noia?
perché non sali il dilettoso monte
ch'è principio e cagion di tutta gioia?».
«Or se' tu quel Virgilio e quella fonte
che spandi di parlar sì largo fiume?»,
rispuos' io lui con vergognosa fronte.
«O de li altri poeti onore e lume,
vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore
che m'ha fatto cercar lo tuo volume.
Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore,
tu se' solo colui da cu' io tolsi
lo bello stilo che m'ha fatto onore.
Vedi la bestia per cu' io mi volsi;
aiutami da lei, famoso saggio,
ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi».
«A te convien tenere altro vïaggio»,
rispuose, poi che lagrimar mi vide,
«se vuo' campar d'esto loco selvaggio;
ché questa bestia, per la qual tu gride,
non lascia altrui passar per la sua via,
ma tanto lo 'mpedisce che l'uccide;
e ha natura sì malvagia e ria,
che mai non empie la bramosa voglia,
e dopo 'l pasto ha più fame che pria.
Molti son li animali a cui s'ammoglia,
e più saranno ancora, infin che 'l veltro
verrà, che la farà morir con doglia.
Questi non ciberà terra né peltro,
ma sapïenza, amore e virtute,
e sua nazion sarà tra feltro e feltro.
Di quella umile Italia fia salute
per cui morì la vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute.
Questi la caccerà per ogne villa,
fin che l'avrà rimessa ne lo 'nferno,
là onde 'nvidia prima dipartilla.
Ond' io per lo tuo me' penso e discerno
che tu mi segui, e io sarò tua guida,
e trarrotti di qui per loco etterno;
ove udirai le disperate strida,
vedrai li antichi spiriti dolenti,
ch'a la seconda morte ciascun grida;
e vederai color che son contenti
nel foco, perché speran di venire
quando che sia a le beate genti.
A le quai poi se tu vorrai salire,
anima fia a ciò più di me degna:
con lei ti lascerò nel mio partire;
ché quello imperador che là sù regna,
perch' i' fu' ribellante a la sua legge,
non vuol che 'n sua città per me si vegna.
In tutte parti impera e quivi regge;
quivi è la sua città e l'alto seggio:
oh felice colui cu' ivi elegge!».
E io a lui: «Poeta, io ti richeggio
per quello Dio che tu non conoscesti,
a ciò ch'io fugga questo male e peggio,
che tu mi meni là dov' or dicesti,
sì ch'io veggia la porta di san Pietro
e color cui tu fai cotanto mesti».
Allor si mosse, e io li tenni dietro.

Sogna, ragazzo, sogna

Sogna, ragazzo sogna
di Roberto Vecchioni

E ti diranno parole
rosse come il sangue, nere come la notte
ma non è vero, ragazzo
che la ragione sta sempre col più forte;
io conosco poeti
che spostano i fiumi con il pensiero
e naviganti infiniti
che sanno parlare con il cielo.

Chiudi gli occhi, ragazzo
e credi solo a quel che vedi dentro
stringi i pugni, ragazzo,
non lasciargliela vinta neanche un momento
copri l’amore, ragazzo,
ma non nasconderlo sotto il mantello,
a volte passa qualcuno,
a volte c’è qualcuno che deve vederlo.

Sogna, ragazzo, sogna,
quando sale il vento nelle vie del cuore,
quando un uomo vive per le sue parole
o non vive più.
Sogna, ragazzo, sogna,
non lasciarlo solo  contro questo mondo,
non lasciarlo andare sogna fino in fondo,
fallo pure tu.
Sogna, ragazzo, sogna,
quando cade il vento ma non è finita,
quando muore un uomo per la stessa vita
che sognavi tu.
Sogna, ragazzo, sogna,
non cambiare un verso della tua canzone,
non lasciare un treno fermo alla stazione,
non fermarti tu.

Lasciali dire che al mondo
Quelli come te perderanno sempre,
perché hai già vinto, lo giuro,
e non ti possono fare più niente.
Passa ogni tanto la mano
su un  viso di una donna, passaci le dita;
nessun regno è più grande
di questa piccola cosa che è la vita.

E la vita è così forte
che attraversa i muri per farsi vedere;
la vita è così vera
che sembra impossibile doverla lasciare;
la vita è così grande
che “quando sarai sul punto di morire,
pianterai un ulivo,
convinto ancora di vederlo fiorire”.

Sogna, ragazzo, sogna,
quando lei si volta, quando lei non torna,
quando il solo passo che fermava il cuore
non lo senti più.
Sogna, ragazzo, sogna,
passeranno i giorni, passerà l’amore,
passeran le notti, passerà il dolore
sarai sempre tu.
Sogna, ragazzo, sogna,
piccolo ragazzo nella mia memoria
tante volte, tanti dentro questa storia:
non vi conto più.
Sogna, ragazzo, sogna,
ti ho lasciato un foglio sulla scrivania,
manca solo un verso a quella poesia,
puoi finirla tu…

http://www.youtube.com/watch?v=iRI9CA525Tk&feature=fvst

sabato 14 maggio 2011

L'indifferenza

“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
 L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza.
 Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente.
Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
 Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
 Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.

martedì 10 maggio 2011

Fabrizio De Andrè: ho cominciato a conoscerlo tanto tempo fa, penso da quando le sue prime canzoni iniziavano a sentirsi. I suoi testi ci dicevano di guardare fuori di noi per accorgerci del mondo reale, pieno di  problemi non risolti e spesso ignorati perchè non portatori di alcuna utilità per "chi conta", con una sguardo rivolto proprio a chi invece aveva tanto bisogno di cambiamenti ed equità sociale.
Anche se non era facile riuscire ad ascoltarlo o vederlo alla televisione, si era sempre lì in attesa che scrivesse una nuova canzone o di leggere un articolo su di lui.
Credo proprio che rivolgerò anch'io il mio sguardo intorno per descrivere quello che più mi colpisce e mi coinvolge, che mi commuove o mi infastidisce.